Un saggio filosofico, economico e storico dedicato alla rinnovata “questione romana” che non riguarda solo la Capitale ma la Nazione intera, corredato di proposte concrete e di lucida visione. Quella che oggi manca ed è necessaria per rinascere come sistema Italia.
Oggi è ancora possibile raccontare Roma come se fosse ancora capace di stupire se stessa il mondo? E’ un interrogativo molto arduo che rischia di diventare un puro esercizio di stile retorico se in una risposta sensata e proattiva non teniamo conto anche degli ultimi 150 anni di storia della Capitale e di cosa, nel bene e nel male, ci ha portato ai giorni nostri ad affrontare nuovamente la rinnovata quaestio.
A tale quesito non solo risponde ma è dedicata l’opera “Roma come se, alla ricerca del futuro della capitale”, ultimo libro del Senatore Walter Tocci, edito da Donzelli Editore che dal suo privilegiato osservatorio di studioso nonché di ex politico e di ex vicesindaco della Capitale durante le amministrazioni dei sindaci del consenso (Rutelli-Veltroni) ha potuto sviluppare una serie di proposte atte a superare l’impasse nel quale si è impantanata non solo la Capitale d’Italia ma il Paese intero.
L’inganno dello stereotipo e la saudade del passato
Roma e in un certo senso una buona parte dell’Italia è divenuta schiava dell’inganno dello stereotipo dello sbruffone. Tale cliché però nei fatti non corrisponde al vero ma a un triste percepito che, nel comune sentire, è traslato verso tutti. Nel libro vengono ricordati, infatti, i dati di una ricerca in base alla quale solo il 16% del campione analizzato corrisponde allo stereotipo del furbetto e dello sfaccendato che poi, per mala comunicazione e più di un esempio sbagliato da parte di amministratori pubblici e politici, ha travolto come uno tsunami un’intera popolazione che conta 4.253.314 di abitanti (Dati Istat 2019), considerando anche le provincia, e coinvolge la reputazione di una nazione intera a livello internazionale. E qui le responsabilità vanno suddivise tra più parti se vogliamo fare più un discorso costruttivo.
Ça va sans dire che il primo buon esempio dovrebbe venire sempre dall’alto e da parte di chi gestisce la “cosa pubblica”; venendo meno rigore ed etica è come se automaticamente e a torto tutti fossimo legittimati a guardare non oltre il nostro naso. Eppure di esempi virtuosi ce ne sono stati in passato tali per cui la stessa cittadinanza ha reclamato e, a diritto, che chi governasse facesse bene il proprio mestiere e trasformandosi essa stessa nel primo e più severo dei giudici nei confronti dei propri cittadini, dimostrando quel necessario senso civico e di responsabilità per far andar bene le cose. Questo vale per qualsiasi città ma ancora di più a Roma che per ruolo politico, amministrativo, storico e culturale si porta dietro una grande e gloriosa eredità da cui, però, non si stacca facilmente e nella quale troppo spesso vi si è rifugiata quasi in maniera parassitaria e involutiva.
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I Comuni Urbani e il Politecnico di Roma
Ai giorni nostri, specie dopo l’anno 2020, non è più possibile nascondersi dietro una retorica del passato di cui non si riesce a rielaborarne l’eredità in chiave moderna che sia capace di generare valore economico e sociale per tutti. Come non è più possibile fare finta di nulla e concentrarsi solo sulle emergenze quotidiane senza avere una visione di lunga durata che possano conferire a Roma la connotazione di Città Mondo e di Città Regione che diano il via a un nuovo Rinascimento per tutti. Le basi su cui lavorare ci sono tutte ma occorre fare. Tra le tante proposte avanzate da Tocci nella seconda parte del libro ve ne sono due, in particolare che ci piace ricordare: l’abolizione del Comune di Roma come organo politico a fronte della creazione di una serie di comuni urbani sulla stessa scorta di grandi capitali europee quali Londra, Parigi, Berlino. Benché molto disruptive la proposta ha senso: l’estensione territoriale della capitale è enorme e le esigenze di un municipio possono differire di molto rispetto a quelle di un suo omologo. Basti pensare che, a differenza di altre città italiane, Roma non ha un centro ben definito ma ve ne sono tanti. Non si tratta di decentralizzare - concetto assai poco gradito all’autore - ma di responsabilizzare ciascun nodo della grande e immensa rete che compone la città.
Altra proposta di cui ci siamo innamorati è l’istituzione di un Politecnico romano. Non scordiamo che in campo di ricerca scientifica e tecnologica Roma vanta delle eccellenze esportate in tutto il mondo per non parlare poi della scuola di Enrico Fermi e dei “ragazzi di via Panisperna” (tanto per citare uno tra i tanti esempi) o l’Istituto di Fisica o lo Spallanzani di Roma in prima linea nell’elaborazione di uno dei vaccini per il Covid-19 dopo aver avuto un ruolo fondamentale nell’isolamento del virus. Accanto a questo vi è il fermento delle startup e dell’innovazione che non ha nulla da invidiare ad altre città. Tutti esempi bene raccontati nel libro.
Ci sono humus e terreno fertili perché anche a Roma si possa creare un vero e proprio Politecnico che diventi catalizzatore di talenti e di giovani che scelgono la capitale come luogo per vivere e per formarsi e, soprattutto, restare. Nella proposta didattica, però, c’è di più: Tocci lancia l’ipotesi di un rinnovamento anche per le scuole di quartiere e di un’apertura continua durante il giorno per farle diventare delle vere e proprie piazze dove si possa riunire la cittadinanza e dove l’educazione culturale sia estesa a tutti con programmi ad hoc a seconda dell’età.
E allora davvero Roma potrebbe ambire a una vera e propria modernità divenendo un altro forte motore economico trainante per l’Italia. Roma come se, ci ricorda attraverso il suo titolo, la scommessa pascaliana, ma per vincerla dobbiamo crederci davvero. E agire.
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