Il futuro è già a portata dei nostri device, delle nostre case e del nostro ambiente di lavoro. Già ci parla e interagisce con noi. E’ in atto una vera e propria voice revolution che potrà cambiare molti equilibri. Scopriamola insieme.
Era il 1968 quando nelle sale cinematografiche uscì “2001, Odissea nello spazio”, uno dei massimi capolavori di Stanley Kubrick. A quell’epoca la prospettiva di entrare nel un nuovo millennio sembrava un qualcosa di avveniristico, da pochi anni avevamo varcato il suolo lunare e immaginare che le interazioni tra uomo e macchina sarebbero state all’ordine del giorno era una situazione troppo ghiotta per l’estro di scrittori, registi e visionari. Come ad esempio quella di comunicare e interagire con una macchina con il solo comando della voce. Nel film era HAL 9000, il computer di bordo della navicella spaziale. Poco più di 40 anni dopo è stata la volta di Alexa, Google Assistant e Siri e un magma di innovazione che sta esplodendo sempre più intorno alla voce e alla possibilità di comandare a parole quello che ci circonda: nel 2021 la realtà ha superato la fantasia.
Voice Technology di Alessio Pomaro ed edito da Dario Flaccovio Editore è il primo libro in Italia che esplora tutte le potenzialità - alcune già in atto, ricordiamolo - del marketing conversazionale e della digital trasformation. Un testo pionieristico esattamente come è stato redatto dall’autore stesso ossia attraverso Google Live Transcribe un’app di Big G di riconoscimento vocale che converte in real time i suoni e la voce in testo. L’obiettivo? Chiarire l’evoluzione dell’universo vocale che apre grandi prospettive innovative, volte a semplificarci la vita personale e professionale, con un occhio sempre più attento verso soluzioni di marketing e di business per il mercato. D’altra parte il ritorno all’uso della voce e all’ascolto va di pari passo con le tendenze del momento: caso esemplare, ma non l’unico, è stato proprio il recente boom di Clubhouse e la riscoperta del piacere di sentire prima ancora di parlare.
Del resto noi umani, per i quali è impossibile non comunicare, tanto per ricordare uno dei primi assiomi della teoria di Watzlawick, veniamo da una tradizione orale attraverso la quale si tramandavano il sapere e la saggezza e da una tradizione mediatica radiofonica, da sempre considerata il più “caldo” dei medium, proprio per la sua capacità di attivare l’immaginazione e di farci compagnia senza interrompere quello che stavamo facendo. Di fatto, quindi, non ci siamo inventati nulla di nuovo ma a fare la differenza è la tecnologia alla base e il buon uso (ce lo auguriamo) che ne faremo.
Immaginiamo quindi assistenti vocali e smart speaker sempre più perfezionati, poliglotti e in grado di rispondere in maniera interattiva alle nostre istanze, tanto da potersi sostituire a noi anche in determinate situazioni come, per esempio, alla reception di un albergo per accogliere turisti stranieri. Incredibile, ma vero e anche pericoloso se si pensa ai posti di lavoro che potrebbero saltare se non pensiamo già da ora a una corretta strategia per far convivere in maniera produttiva e pacifica uomo e macchina.
Ambient Computing e l’Internet delle cose
Chiariamo subito cosa sia l’ambient computing, prendendo la definizione in prestito dal libro di Pomaro: “un ecosistema in cui hardware, software e servizi si fondono intorno all’utente per assisterlo nelle sue attività quotidiane.” Possiamo definirlo una sorta di “sistema fluido” attraverso il quale l’utente interagisce con l’ambiente che lo circonda. Chiaramente il tutto va a braccetto con l’IoT (l’internet delle cose) ossia all’intera gamma dei dispositivi connessi intorno a noi. Pensiamo all’evoluzione della domotica, aggiungiamo l’elemento voce e proviamo a descrivere una giornata tipo all’interno della nostra casa iperconnessa: con la voce comandiamo Alexa che ci allerta sul tempo, contestualmente sempre con il comando vocale ordiniamo di alzare le tapparelle, di accendere la macchina per il caffè e di leggerci le ultime notizie dal nostro quotidiano preferito. Ogni azione della nostra vita scandita dal suono della voce mentre abbiamo le mani libere per fare altro e soddisfare l’esigenza di essere multitasking.
Medesima situazione anche in un contesto lavorativo dove possiamo istruire i nostri assistenti virtuali con l’uso della voce e demandare a loro una serie di compiti quali la prenotazione delle sale riunioni, reportistiche e una serie di funzioni un tempo assolte dalle segreterie. La prospettiva di situazioni del genere che davvero riportano alla mente HAL 9000 è già realtà e alcune aziende come per esempio SalesForce, la sta già sperimentando. A essere coinvolto nel ciclone della voice revolution è anche il settore medicale e dell’accessibilità: si stanno istruendo attraverso l’intelligenza artificiale e un machine learning sempre più raffinato assistenti vocali che possano essere di supporto per le persone affette da malattie neurodegenerative come, ad esempio la SLA e il Parkinson e per le quali sarebbe un validissimo aiuto avere a disposizione un facilitatore virtuale per le loro richieste. La tecnologia è sempre neutra di per sé, sta a noi farne buono o cattivo uso e il tempo risparmiato grazie alla voice revolution potrebbe essere davvero investito per le nostre passioni e i nostri cari, per non dimenticare che siamo umani e che quel confine lo traccerà solamente la nostra voce.
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