#Book Calling 42: La grande inchiesta di Report sulla pandemia, con Cataldo Ciccolella e Giulio Valesini

Antonella Coppotelli

03/03/2022

Un’inchiesta durata quasi due anni che ha messo in luce le responsabilità politiche e dell’Oms nella gestione della pandemia che ci avrebbe fatto risparmiare vite umane e preservato l’economia.

Oltre 150.000 decessi, Pil sceso quasi del 9% nel 2020 e un continuo scostamento di bilancio che è costato a due anni dalla pandemia quasi 200 miliardi di euro. A questo aggiungiamo tutta una serie di effetti collaterali non di poco conto quali ad esempio l’aumento di casi di depressione dei nostri ragazzi che, stando ai rapporti forniti degli esperti avrebbero subito in maniera decisamente più pesante non solo la Dad ma anche i continui confinamenti da lockdown.

Una situazione che pagheremo caramente a livello sociale ed economico negli anni a venire. Una vera e propria catastrofe a cui, in questi giorni, si somma quella del conflitto tra Russia e Ucraina che, volenti o nolenti, riguarda preponetemene la quotidianità di tutti noi. Si poteva gestire diversamente la pandemia evitando o meglio, contenendo, morti, il suicidio dell’economia e una prospettiva più rosea di futuro?

Ebbene sì, avremmo potuto farlo se solo chi di competenza se ne fosse assunto la responsabilità e avesse fatto per tempo il proprio dovere. A queste conclusioni giungono Cataldo Ciccolella e Giulio Valesini nel loro libro “La grande inchiesta di Report sulla pandemia” edito da Chiare Lettere. Il testo, con la prefazione firmata da Sigfrido Ranucci, è il frutto di due anni di indagini di cui il grande pubblico ha avuto un assaggio a più riprese durante l’ultima stagione del famoso programma televisivo.

Tutta l’inchiesta dei due giornalisti ruota intorno non solo alla vetustà del nostro piano pandemico che alla data dello scoppio della pandemia risaliva, di fatto al 2006, ma anche, fatto ancora più grave, alla sua mancata applicazione. Alle medesime conclusioni e parallelamente al lavoro dei due reporter era giunto anche Francesco Zambon, ex ricercatore dell’Oms attraverso un dossier censurato dall’ente stesso che in tutta questa storia ha avuto un ruolo centrale e tante responsabilità su cui anche un’indagine giudiziaria partita da Bergamo (la città più colpita dal virus) e coordinata da Alberto Chiappani sta cercando di fare luce.

Perché è obbligatorio avere un piano pandemico

Il regolamento sanitario nazionale prevede che ogni regione abbia un proprio piano pandemico aggiornato. Tale prescrizione è imposta anche dall’Oms a cui periodicamente vanno mandati i relativi adeguamenti. In Italia tale attività è affidata alla Direzione V del nostro Ministero della Salute che negli anni ha visto susseguirsi tutta una serie di dirigenti che, a oggi, ricoprono altre posizioni. Benché quindi vi sia da sempre l’obbligo ad avere un piano pandemico aggiornato, nessuno ne sapeva niente e il nostro era fermo al 2006, anno in cui ancora non esisteva nelle nostre abitudini di consumo lo smartphone e la tecnologia non era ancora stata sdoganata ai più. Tale connotazione è molto importante dal momento che le indicazioni ivi contenute non tenevano minimamente in considerazione piani di telemedicina.

Al netto di questo aspetto, già grave di per sé, allo scoppio della pandemia non vi è stata neanche l’applicazione di quello che avevamo. L’alert sul virus, lanciato dalla stessa Oms a inizio gennaio 2020 c’era stato ma nessuno vi aveva badato: si chiedeva di prestare attenzione a uno strano virus, dalle origini sconosciute e di applicare le fasi preliminari del piano pandemico.

Avere un piano pandemico aggiornato e pronto all’azione significa essere preparati a fronteggiare il nemico e a circoscrivere laddove possibile conseguenze molto più devastanti. Di fatto traduce ciò che la nostra cultura antica condensava nel motto si vis pacem, para bellum e in ambito sanitario è una chiamata alle armi da non sottovalutare mai. Ci aveva allertato in qualche modo anche il Professor Massimo Galli nella prefazione di “Anno Zero d.C,” di Mariangela Pira: «la maggior parte delle zoonosi, di malattie causate da virus trasmesse da animali all’uomo sono molte di più di quanto se ne possano immaginare e se ne dovrà tenere ben conto in futuro.»

Le responsabilità dell’Oms e della politica

Mattia Maestri o meglio noto come paziente “zero” di Codogno di fatto non è stato il primo ad ammalarsi di Covid-19. E’ assai presumibile che la diffusione sia avvenuta in precedenza e che ci si trovasse in una fase già critica. Basti pensare che il 30 gennaio 2020 Tedros Adhanom Ghebreyesus aveva dichiarato il Covid-19 un’emergenza sanitaria internazionale ma rimase una voce inascoltata e arriveremo a chiudere l’Italia nella prima decade di marzo dello stesso anno, esattamente due mesi dopo quella dichiarazione con tutte le conseguenze sociali ed economiche di cui siamo stati attori e testimoni.

Il piano pandemico è una legge dello Stato e stando a quanto riportano gli autori che hanno basato la propria indagine su una fitta documentazione disponibile come appendice del testo, la sua mancata applicazione, benché obsoleto, è stata una decisione politica; forse perché costituiva un’ammissione di colpa e di inadempienza per quanto non era stato fatto dal 2006 al 2020.
Quattordici anni di vuoto, ripetiamolo, in termini di aggiornamento e formazione del nostro personale sanitario mandato a combattere una guerra senza armi che ha mietuto vittime anche lì.

La responsabilità di quello che avremmo potuto evitare non dipende, però solo, dalla nostra classe politica. Anche e soprattutto l’Oms, di cui Bill Gates, insieme alla Cina, risulta essere il maggiore “azionista” considerando la sua fondazione e controllata Gavi, ha le proprie e di certo quella più grave è stata aver censurato un proprio rapporto interno firmato da Francesco Zambon nel quale il ricercatore veneziano denunciava proprio l’arretratezza del nostro piano pandemico e la sua mancata applicazione; il tutto mentre la gente moriva e iniziava un baratro economico e sociale tuttora in corso.

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