Borse: USA, Regno Unito e Grecia, i tre fattori di incertezza dei mercati finanziari e i loro effetti

Simone Casavecchia

9 Maggio 2015 - 08:57

Una settimana decisamente altalenante si chiude con i mercati finanziari ai massimi sulla scia dei dati sul lavoro USA e sul risultato elettorale in Regno Unito l’incertezza delle borse potrebbe proseguire a causa della Grecia.

Borse: USA, Regno Unito e Grecia, i tre fattori di incertezza dei mercati finanziari e i loro effetti

La settimana delle borse, iniziata con una pericolosa oscillazione dello spread di quasi tutti i Paesi dell’Eurozona, termina con una potente boccata d’ossigeno a cui contribuiscono sia gli USA che il Regno Unito; la volatilità potrebbe però essere dietro l’angolo soprattutto per fattori politici.

Per quanto riguarda i dati, la Borsa di Milano ha chiuso ieri con un rialzo di oltre il 2% ai massimi di seduta (indice Ftse Mib +2,06%), in linea con tutte le altre borse europee (il Dax 30 tedesco ha rilevato un rialzo del +2.19% e il Cac 40 francese un rialzo +2.48%) e con la Borsa di Londra che guadagna oltre il 2%. Bene anche i titoli di Stato dove lo spread BTp-Bund si sgonfia a 114 punti base, con il tasso di rendimento del titolo italiano a circa l’1,7%.

A questa situazione contribuiscono, nel caso italiano i dati positivi sul PIL e la
crescita industriale del primo trimestre
e nel caso Europeo i dati sull’occupazione Americana e sulle elezioni britanniche. Mentre i primi vanno ritenuti dei dati sostanzialmente positivi, la vittoria di Cameron, unitamente alla trattativa greca potrebbe essere indice di nuova volatilità.

I dati sull’occupazione USA
I non farm pay-rolls, gli occupati non agricoli, aumentano di 223000 unità nel mese scorso, registrando una performance al di sopra delle attese degli analisti (224000 unità) che porta anche il tasso di disoccupazione a quota 5,4%, ai minimi dal 2008.
L’effetto su Wall Street è stato nettamente positivo dal momento che alle 16,30 di ieri il Dow Jones guadagnava l’1,4%, lo S&P 500 l’1,2% e il Nasdaq l’1,2%.
Secondo i primi commenti degli analisti si tratta di dati ne troppo forti ne troppo deboli, insomma, dati che possono tenere alti gli umori delle borse pur senza determinare la temutissima stretta sui tassi alla quale, però, la FED, potrebbe ora guardare con maggior favore.

Le elezioni nel Regno Unito
Il secondo fattore che ha determinato la chiusura nettamente positiva dei listini europei è stata la schiacciante vittoria di David Cameron alle elezioni politiche britanniche. Il Partito Conservatore ha conquistato la maggioranza assoluta dei seggi della Camera dei Comuni e governerà con ogni probabilità da solo, pur tentando di mantenere accordi esterni con i Liberaldemocratici il cui potere è, ora, estremamente ridotto.
In questo caso le borse europee e anche i vertici politici del vecchio continente (Renzi compreso) hanno salutato con favore la vittoria di Cameron, ritenendo che la conquista della maggioranza assoluta da parte del suo partito possa essere letto come un indice di stabilità interna.
Occorre però, in tal senso, fare alcune considerazioni. Nello scenario inglese ci sono due elementi di grande preoccupazione, uno dei quali, almeno, potrebbe avere conseguenze pesanti sull’Eurozona. Sul piano interno la seconda forza in Parlamento è lo Scottish National Party con 56 seggi, si tratta di un problema tutto interno in questo caso ma questo dato elettorale potrebbe determinare presto una riconfigurazione del Regno Unito in senso maggiormente federale.
Il secondo, e più preoccupante problema, è la Brexit. Cameron potrebbe, infatti, indire, se non subito il prossimo anno o nel 2017 un referendum per decidere se il Regno Unito deve restare ancora nell’Europa. Prima di tale referendum Cameron farà di tutto per far pesare la propria vittoria sullo scacchiere europeo e per ottenere misure favorevoli al Regno Unito (misure non solo economiche ma anche politiche, in tal senso si può pensare al problema dell’immigrazione); in questo caso è difficile affermare quali potrebbero essere gli effetti sui mercati finanziari ma si tratta, in ogni caso di fattori di incertezza, pur nel lungo periodo.

Il piano di salvataggio greco
L’altro e maggiore fattore di incertezza per le borse europee continua a essere il caso Grecia. Oggi scade, infatti, il termine per la presentazione del nuovo piano di riforme utile per ottenere l’ultima tranche di aiuti internazionali, prevista dal secondo piano di salvataggio.
Secondo le dichiarazioni rilasciate al Wall Street Journal da una fonte europea

«Il piano greco presentato dal ministro Yanis Varoufakis all’Eurogruppo diverge molto da quanto è stato finora discusso a livello tecnico nei giorni scorsi e sottolinea come Varoufakis continui a ostacolare i progressi verso un accordo finanziario tra Atene e creditori»

L’Eurogruppo di lunedì si preannuncia, quindi, come l’ennesimo nulla di fatto per la crisi greca, dal momento che il piano di riforme recentemente presentato non solo non conterrebbe le riforme richieste dai funzionari dello Brussels Group nelle riunioni tecniche ma sarebbe, anche, totalmente incongruente con i negoziati politici in corso.
Nonostante l’ottimismo sull’esito della trattativa greca, ostentato da Tsipras di fronte al suo Parlamento e recentemente manifestato anche in sede europea dal presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem e dal commissario europeo agli Affari Economici, Pierre Moscovici, rimarrebbero ancora pesanti distanti su quelli che sono due dei nodi principali del piano di riforme richiesto da Bruxelles ad Atene, ovvero sulla riforma delle pensioni e sulla riforma del mercato del lavoro.
Che la Grecia rimanga in fattore di maggiore preoccupazione è dimostrato da una serie di indicatori molto importanti: la recente vendita di titoli di stato europei, messa in atto dagli investitori e la debolezza dell’euro su dollaro e sterlina, registrata ieri.
Nonostante anche Draghi abbia recentemente ribadito che l’Euro è irreversibile, almeno per quanto riguarda la Grecia (Atene è l’unico listino che ieri ha chiuso in negativo mentre i consumi greci registravano ad Aprile una flessione, su base annua, del 2,1%) questa sembra essere un’affermazione tutt’altro che scontata e condivisa.

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