L’istituto di Basilea predica cautela sul ritiro delle misure di stimolo. Ma il reverse repo della Fed solo oggi ha drenato il corrispettivo di 8 mesi di Qe, mentre Mosca si prepara a tassi al 6,5%
E arrivò il Pandexit. A sdoganare il neologismo, nientemeno che la Banca per i Regolamenti Internazionali con il suo report annuale, titolato appunto Central banks facing Pandexit challenges, presentando il quale Agustin Carstens, general manager della BRI ed ex governatore della Banca centrale messicana, è stato chiaro: Se istituzioni monetarie e governi hanno reagito con tempismo all’esplosione della pandemia, ora la sfida è quella di uscire dal regime emergenziale di supporto senza precedenti. Di fatto, un esercizio di equilibrismo e di capacità comunicativa.
Da un lato, infatti, occorre rassicurare le economie rispetto al mantenimento di un regime di sostegno che accompagni la ripresa economica, al momento più decisa di quanto si pensasse, dall’altro si palesa la necessità di garantire un livello di attenzione sufficiente alle dinamiche del surriscaldamento dei prezzi. Insomma, ancorché la Banca centrale delle Banche centrali sembri sposare la narrativa dell’inflazione transitoria, il suo mettere in evidenza come potrebbe risultare fatale una sottovalutazione del trend appare rivelatore di una tensione crescente. Non a caso, il numero uno operativo dell’istituto di Basilea è l’ex governatore di una Banca centrale che ha appena stupito il mondo intero con la sua decisione di alzare dal 4% al 4,25% il tasso di riferimento, proprio per timore di una spirale auto-alimentante dei prezzi.
E se alla scelta di uno stop alle politiche espansive del Messico si sono già accodate quest’anno le Banche centrali di Ungheria, Repubblica Ceca, Brasile e Turchia, quella russa è andata anche oltre, preannunciando per luglio la possibilità di un intervento shock da un punto percentuale di rialzo. Il tutto, dopo un iter cominciato già il 19 marzo con un aumento di 25 punti base al 4,5%, seguito il 23 aprile da altri 50 punti base e da altri 50 l’11 giugno: di fatto, un 5,5% di tasso benchmark con il quale Mosca sta avvicinandosi al prossimo board previsto per il 23 luglio, minacciando 100 punti base di intervento shock and awe, come lo ha definito la stessa governatrice, Elvira Nabiullina.
E questo grafico
Fonte: Bloomberg
mostra come le dinamiche dell’inflazione fra Usa e Russia non differiscano troppo, pur con le debite differenza ma diametralmente opposto appare l’approccio delle relative Banche centrali. Su base annua, a maggio il tasso di inflazione in Russia ha toccato il 6% contro il 4% di obiettivo della Banca centrale, oltretutto con il trend del prezzi alimentari già in area +7,4%. Di converso, nello stesso mese il Cpi statunitense ha raggiunto il 5%. Insomma, sia l’approccio americano che quello russo paiono decisamente poco in linea con le raccomandazioni della BRI: i primi continuano a perseguire la via della minimizzazione, contando sulla transitorietà del trend, mentre i secondi paiono pronti a misure draconiane di contrazione.
Chi ha ragione? Difficile dirlo, ragionando empiricamente. Una cosa è certa: il nuovo dato di utilizzo della facility di reverse repo della Fed pare confermare sempre di più l’idea che Jerome Powell intenda operare un tapering sotto copertura. Ma non solo. Come mostra questo grafico,
Fonte: Bloomberg
dopo gli 840 miliardi di ieri, infatti, oggi 90 controparti hanno depositato qualcosa come 991,93 miliardi allo 0,05% di interesse. Nell’ultimo giorno del trimestre. Di fatto, il più grande drenaggio di liquidità su base quotidiana da quando viene tracciata la serie storica. Ma anche altro: il corrispettivo 8 mesi di acquisti del Qe pandemico della Fed fatti sparire dal mercato in un solo colpo, tramutati in inert cash parcheggiato alla Fed di New York. Oltretutto, remunerato in modalità di investimento risk-free totale.
E calcolando la leva cui operano le banche attraverso i buybacks, chiaramente nelle prossime settimane l’utilizzo di quella facility è destinato a crescere ulteriormente, dovendo fare spazio nei bilanci in ossequio alla CET1 capacity: qualcuno parla di 2 trilioni entro la metà di luglio. Sorge un dubbio. A parte operare un tapering mascherato sulla partita di giro fra Trasuries acquistati sul secondario e re-immessi in circolo sotto forma di garanzia per quella liquidità depositata, alla Fed cercano di creare artificialmente una conferma alla loro tesi sulla transitorietà dell’inflazione drenando il cash in eccesso del Qe e parcheggiandolo in stato di inerzia?
Perché altrimenti, qualcuno potrebbe azzardare l’ipotesi di un programma espansivo da 120 miliardi al mese divenuto totalmente inutile, stante i continui depositi record da parte delle banche. Wall Street, però, potrebbe non gradire. Comunque sia, quanto sta accadendo negli Usa pare confermare i timori della BRI: il Pandexit rischia di rivelarsi molto più duro da gestire della stessa pandemia.
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