Nel 2020 i movimenti non sono mai finiti, ma il Covid li ha limitati. Quest’anno può esserci una «miscela esplosiva»
Gli strascichi del 2020 si abbatteranno come un’onda anche sul 2021: l’emergenza Covid, nell’anno appena iniziato, produrrà nuove disuguaglianze e nuove povertà soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Questo determinerà un aumento della pressione migratoria, soprattutto sull’Europa. Paradossalmente l’anno contrassegnato dal Covid ha prodotto una diminuzione dei flussi. Le limitazioni applicate nei primi sei mesi del 2020 hanno comportato un calo anche nelle partenze dei barconi verso il vecchio continente. Poi una significativa ripresa si è avuta nella seconda metà dell’anno appena trascorso.
Un trend che “apre le porte” al 2021. Caso emblematico di questa situazione è rappresentato dalla Tunisia: la scomparsa del turismo ha comportato un deterioramento della situazione socio-economica, ben rintracciabile nell’imponente flusso migratorio verso l’Italia nella seconda metà del 2020.
L’allarme è stato lanciato anche dall’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (Uesa), il quale ha specificato come nell’anno appena iniziato è possibile aspettarsi importanti ondate migratorie in grado di mettere in crisi i vari sistemi di accoglienza. In questo contesto, l’Unione Europea sembra impreparata.
Il piano sull’immigrazione illustrato in estate dal presidente della commissione europea, Ursula Von Der Leyen, difficilmente vedrà la luce del sole in tempi brevi. Sotto il profilo politico, tra i vari Stati membri sono maggiori le divergenze che le convergenze. Soprattutto sui piani di ricollocamento automatico dei migranti. Per questo motivo, non appena l’emergenza immigrazione apparirà in tutta la sua drammaticità in primavera, molto probabilmente saranno gli Stati dei confini meridionali Ue a dover affrontare singolarmente la situazione. Come del resto è avvenuto negli ultimi anni.
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