Mentre Joe Biden ribadisce il proprio impegno a ridurre le emissioni da gas serra del 52% entro il 2030, dalla comunità scientifica arrivano messaggi meno catastrofici che invitano al buon senso.
I cambiamenti climatici potrebbero causare “una devastazione tanto completa e irreversibile da essere paragonabile ad un olocausto nucleare”. L’anno in cui le Nazioni Unite, non Frate Indovino, fece questa previsione era il 1982, e il termine che fu dato allora era “entro il 2000”. Più di recente, si ricordano allarmi aggiornati sulla imminente fine del mondo, stavolta entro il 2030, se non si elimina subito l’intera energia fossile. Anche quest’altra profezia funesta era stata dell’ONU, e a popolarizzarla sono state le pasionarie verdi Greta Thurnberg, teenager attivista svedese, e Alexandria Ocasio-Cortez, deputata Democratica americana che ha lanciato il suo Green New Deal, progetto trilionario abbracciato dal presidente Usa che vuole farlo passare in Congresso sotto l’etichetta di “piano per le infrastrutture”.
Joe Biden, del resto, il 27 gennaio disse, dalla Casa Bianca, che “il clima è una minaccia esistenziale” e il 22 aprile ha celebrato il Giorno della Terra in conferenza virtuale con i leader del mondo, durante la quale ha promesso che gli USA ridurranno le emissioni di gas a effetto serra del 52% entro il 2030, più del doppio dell’impegno che Obama aveva preso aderendo all’accordo di Parigi (stracciato da Trump e ri-firmato ora dal governo Usa).
Curioso, e molto sospetto, è però il fatto che il catastrofismo dei politici di sinistra e degli ambientalisti di professione non si basa su accorati appelli dall’intero mondo della scienza a fare in fretta. Al contrario, dalla scienza arrivano da qualche tempo richiami critici ed espliciti a essere, per l’appunto scientifici. A non sparare disinformazione sul problema spacciandola per una conclusione acquisita.
Severissima, sul piano del rigore accademico, è la critica mossa dai professori Roger Pielke (Università di Boulder, Colorado) e Justin Ritchie (Università di British Columbia). “La ricerca e le valutazioni della scienza del clima hanno utilizzato gli scenari in modo improprio per più di un decennio”, hanno scritto i due accademici in un rapporto del maggio 2020. “I sintomi di questo uso improprio si basano su uno scenario estremo e irrealistico, come se si trattasse del più probabile futuro del mondo in assenza di una politica climatica”. E citano “il confronto illogico delle proiezioni climatiche attraverso traiettorie di sviluppo globale incoerenti”. I due professori elencano anche i motivi che hanno generato tante esagerazioni. Tra le altre, le richieste, in concorrenza tra loro, di scenari da parte di utenti in diverse discipline accademiche che alla fine hanno “fuso” percorsi esplorativi e strategici.
E, anche, il ruolo del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici che ha allargato il proprio mandato dalla valutazione finale della letteratura prodotta dai ricercatori accademici al coordinamento della stessa letteratura. In proposito vengono citati il mantenimento di pratiche di ricerca che normalizzano l’uso incauto degli scenari in assenza di plausibilità e la complessità e tecnicità intrinseche degli scenari stessi, basati sulla ricerca promossa a sostegno della politica. “Di conseguenza, la comunità dei ricercatori sul clima è attualmente fuori strada”, ammoniscono i due docenti. “I tentativi di affrontare l’uso improprio dello scenario estremo all’interno della comunità finora non hanno funzionato. Il risultato è stato la produzione diffusa di prospettive miopi o fuorvianti sul futuro cambiamento climatico e sulla politica del clima”, concludono Pielke e Ritchie.
Lo scetticismo degli studiosi
Il consenso degli studiosi è insomma che il globo si stia riscaldando, e che i cambiamenti del clima in corso siano un fenomeno reale. Ma la capacità degli scienziati a capire il trend è insufficiente, se non addirittura viziata dall’agenda politica dei catastrofisti. E su questo terreno prosperano poi le esagerazioni infondate dei media e dei governanti USA ultra-statalisti che usano il pianeta per trasformare la società in chiave anticapitalista e socialista.
Persino l’ex capo degli scienziati del ministero dell’Energia sotto Barack Obama, Steven Koonin - che pure accetta la rilevazione che la temperatura mondiale si sia alzata di un grado Celsius dal 1900 ad oggi, e fa la previsione che si alzerà di un altro grado entro il 2100 - non vede all’orizzonte nulla che possa giustificare il rapido e totale abbandono dell’energia fossile da parte dell’America. Anche nella ipotesi dell’assurdo di Cina, India, Russia, Brasile, Indonesia ed altri paesi del terzo e quarto mondo che rinunciassero all’attuale corsa alla prosperità dei propri cittadini abbandonando carbone, petrolio e gas naturale, Koonin crede che non abbia senso economico forzare i tempi della eliminazione delle auto a benzina.
La sua convinzione è che le tecnologie e i mercati debbano funzionare al loro passo anche considerando che i trasporti, peraltro, pesano solo per il 15% delle emissioni. Il clima può continuare a cambiare ad un ritmo che è difficile da cogliere, ha detto Koonin in una recente intervista sul WSJ a Holman W.Jenkins Jr., e le società si adatteranno. “Come specie umana siamo molto bravi ad adattarci”. Lo scetticismo di Koonin, 69 anni, un fisico-matematico che ha dedicato la sua vita alle tematiche dell’energia, è quello classico dello scienziato, bene espresso nel titolo del suo libro in uscita in maggio: “Irrisolto: che cosa la Scienza del Clima ci dice, che cosa non ci dice, e perché ciò’ è importante”.
Fra gli studiosi storicamente scettici c’è poi Bjorn Lomborg, presidente del Copenhagen Consensus Center e membro della Hoover Institution. Pure lui invita al buon senso, a non esasperare i toni e ad essere concreti. Autore di “Falso allarme: come il panico da cambio di clima ci costa migliaia di miliardi, fa male ai poveri e fallisce il compito di aggiustare il pianeta”, Lomborg suggerisce ai leaders politici di “spendere i miliardi più intelligentemente nella innovazione pro-ambientale: se possiamo migliorare la futura energia verde rendendola più a buon mercato di quella fossile, tutti faranno il cambio”.
Infine, anche dal mondo del giornalismo impegnato a tempo pieno sul tema climatico arrivano appelli a usare il buon senso senza cedere ad assurde drammatizzazioni. David Wallace-Wells, che scrive sugli insospettabili (per la sinistra) New York Magazine e Guardian, nel 2019 ha pubblicato un libro sulla crisi del global warming dal titolo nettamente opposto alla isteria collettiva verde: “La Terra non-inabitabile”. Il messaggio agli attivisti suoi colleghi? Riportiamo i toni dell’impegno ambientalista “verso una direzione meno allarmista”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA