Commissione: Timmermans unico candidato contro l’austerità, ma l’Italia l’ha impallinato

Alessandro Cipolla

4 Luglio 2019 - 16:26

Frans Timmermans, candidato dei Socialisti per la Commissione Europea, è da sempre un oppositore delle politiche di austerità: il governo gialloverde però ha preferito bocciarlo e dare il via libera a Ursula von der Teyen, sostenitrice invece del rigore così come Christine Lagarde destinata alla BCE.

Commissione: Timmermans unico candidato contro l’austerità, ma l’Italia l’ha impallinato

Il governo gialloverde è da sempre contrario alle politiche all’insegna dell’austerity. L’olandese Frans Timmermans candidato dei Socialisti alla guida della Commissione Europea è da sempre contrario alle politiche all’insegna dell’austerity.

Durante l’ultimo Consiglio Europeo la numero uno dei Popolari Angela Merkel propone Frans Timmermans come presidente della Commissione. Il premier Giuseppe Conte insieme ai leader del blocco Visegrad si oppone bruciando così la candidatura di Frans Timmermans.

Angela Merkel ed Emmanuel Macron propongono così la tedesca Ursula von der Leyen come presidente. Ursula von der Leyen è da sempre favorevole alle politiche all’insegna dell’austerità. Il governo italiano così come quello dei paesi dell’Est si dichiarano favorevoli e così viene nominata Ursula von der Leyen.

Un breve riassunto cronologico questo che può rendere meglio l’idea della sorta di autogol politico realizzato dal governo del cambiamento, che pur di non mandare un socialista a Palazzo Berlaymont ha accettato Ursula von der Leyen alla Commissione Europea e Christine Lagarde alla BCE, una delle fautrici del piano della Troika per la Grecia.

Il governo gialloverde e le nomine per l’Unione Europea

Dopo l’intesa raggiunta nel Consiglio Europeo sulle nomine della prossima governance dell’Unione Europea, Luigi Di Maio non è sembrato molto entusiasta: “Quanto alla nomina ai vertici europei di due fedelissime di Merkel e Macron, non mi fa impazzire che Germania e Francia l’abbiano vinta ancora una volta e spero che non diventino due regine dell’austerity”.

Gonfiando di nuovo il petto dopo il silenzio in attesa dello stop alla procedura di infrazione ha poi aggiunto: “Se qualcuno pensa di farci chinare la testa nominando la Lagarde alla BCE, prende un abbaglio. Noi andiamo avanti per la nostra strada”.

Intervistato dal Corriere della Sera molto più soddisfatto invece si è dichiarato Giuseppe Conte riguardo le nomine: “Mi limito a osservare che abbiamo contribuito a superare il criterio degli Spitzenkandidaten, quelli dei partiti maggiori, che ci vedeva penalizzati. Abbiamo coordinato il dissenso con altri 10 Paesi, e riorientato la partita ponendo le condizioni per avere un portafoglio economico abbinato a una vicepresidenza. E abbiamo evitato soluzioni alla BCE che nell’interesse dell’Italia potevano rivelarsi meno vantaggiose”.

Poco prima dell’ufficialità delle nomine per le poltrone più importanti in Europa, anche Matteo Salvini ha voluto esprimere la propria posizione ribadendo come il nostro paese ora sarà decisivo a Bruxelles: “A prescindere dai nomi, l’importante è che in Europa cambino le regole, a partire da immigrazione, taglio delle tasse e crescita economica e su questa battaglia l’Italia sarà finalmente protagonista”.

Leggendo queste dichiarazioni e confrontandole con quello che è stato deciso durante il Consiglio Europeo, il cittadino italiano si potrebbe ritrovare un po’ spiazzato e confuso. Ma alla fine queste nomine al nostro paese vanno bene oppure no?

Il paradosso dell’austerità

Dal 2014 i vari gruppi europei si sono dotati del sistema dello spitzenkandidat, ovvero il proprio candidato alla presidenza della Commissione Europea, per cercare di semplificare le trattative post voto sui nomi.

Dopo che cinque anni fa lo spitzenkandidat dei Popolari (il gruppo più votato) Jean Claude Juncker è stato poi eletto, adesso invece questo sistema è naufragato come rivendicato con orgoglio da Giuseppe Conte, alla faccia della sovranità del voto popolare in opposizione alle decisioni prese a tavolino dai politici.

Per cercare di riempire ogni casella, Angela Merkel era disposta di sacrificare il candidato dei Popolari (il connazionale Manfred Weber) nonostante il primato alle urne, proponendo lo spitzenkandidat dei Socialisti (i secondi più votati) Frans Timmermans.

I paesi del blocco Visegrad, l’Italia, l’Irlanda e la Croazia, si sono però messi di traverso bloccando così la nomina dell’unico nome in ballo che fossa da sempre un nemico delle politiche di austerità.

Conte invece è stato ben felice di dare il suo via libera alla tedesca von der Leyen, da anni ministro dei governi Merkel e nota per la sua propensione al rigore, ma anche alla francese Lagarde da tempo ai vertici del Fondo Mondiale Internazionale.

Di Maio parlando di due possibili “regine dell’austerity” avrebbe dovuto prima magari concordare meglio la strategia con il premier, che invece ha accontentato Salvini sabotando il candidato socialista.

Il leader della Lega che vuole però fare la Flat Tax e una legge di Bilancio 2020 espansiva in nome della sovranità governativa nel ricorrere al deficit, dovrebbe spiegare perché il suo governo è stato tra gli artefici della nomina di due “regine dell’austerity”.

In tutto questo la buona notizia è senza dubbio l’aver evitato la procedura d’infrazione, con l’Italia che oltre ad aver staccato un assegno da 7 miliardi per sistemare il bilancio del 2019 si è anche impegnata a tenere i conti in ordine nel 2020.

In tutto questo appare lampante il discostamento, in merito al rapporto con l’Europa, tra quanto viene dichiarato dai due vicepremier infiammando il proprio elettorato e quelle che poi sono le azioni reali del governo. Can che abbaia non morde.

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