In Lombardia un gran numero di morti non viene contato. Lo studio
Da qualche settimana ormai sindaci e medici del Nord Italia chiedono più trasparenza nella conta delle vittime da coronavirus. Il numero ufficiale ha superato i 15.362 individui (quasi un terzo del totale mondiale), ma alcuni dati farebbero supporre che il numero potrebbe essere molto più alto. Secondo uno studio, infatti, la stima è troppo bassa perché tiene in considerazione soltanto le morti in ospedale, e non tutte quelle che si verificano a casa.
Coronavirus, dati ufficiali non dicono la verità sul numero di morti?
Secondo un’analisi di InTwig per L’Eco di Bergamo, che ha utilizzato i dati forniti dai Comuni, nella sola provincia di Bergamo a marzo 2020 sono morte oltre 5.400 persone. Si tratterebbe, secondo il quotidiano, di numeri 6 volte più alti dell’anno precedente. Un anno fa, nello stesso mese, i morti erano stati 900.
Di questi, 4.500 sarebbero dunque riconducibili al coronavirus, una cifra doppia rispetto a quella ufficiale. Secondo i dati Istat, in tutto il 2018 nel bergamasco sono morti 9.600 individui. Se fossero confermati i dati raccolti da InTwig, avremmo davanti uno scenario in cui la metà dei morti di un anno normale si è verificata in un singolo mese con coronavirus.
COVID-19, come sono contati i decessi in Italia
La difformità fra il dato reale e quello ufficiale diffuso ogni giorno dal bollettino della Protezione Civile deriva dal modo in cui sono contati i decessi. Dal documento dell’ISS dal titolo “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi a COVID-19 in Italia” si evince infatti che i morti del calcolo ufficiale sono soltanto quelli degli ospedali e, a volte, delle case di cura per anziani.
Molti pazienti, però, non vengono ammessi, perché i posti letto sono saturi o vengono dimessi quando non c’è più speranza. Diversi potenziali positivi, dunque, spesso non vengono neanche tamponati.
COVID-19 Lombardia, la denuncia dei medici di famiglia
La situazione è stata più volte denunciata da FIMMG Lombardia, sindacato dei medici di famiglia. Così denunciava la segretaria Paola Pedrini in una lettera ad Attilio Fontana del 13 marzo scorso: “Il numero di pazienti gestiti al domicilio sta continuando incessantemente ad aumentare sia perché gli ospedali sono saturi e, per forza di cose, sono costretti a non ricoverare o a dimettere precocemente i pazienti appena questi raggiungono una fase di fragile stabilità clinica, sia perché le nuove diagnosi, spesso non sostenute dall’effettuazione di un tampone ma dalla sola clinica suggestiva, stanno aumentando in modo esponenziale”.
Tutto ciò viene confermato da un dato: nella sola provincia di Bergamo, un mese fa erano già 70 i medici di famiglia che avevano contratto la COVID-19. “Nonostante i nostri migliori sforzi, non è possibile portare tutti in ospedale e a volte la famiglie preferiscono tenere il malato in casa per paura di non avere un’altra occasione per dire addio”, ha detto il sindaco di Bergamo Giorgio Gori.
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