Il coronavirus sta causando un gran numero di decessi nel mondo, ma soprattutto in Italia. Una delle cause potrebbe essere la resistenza agli antibiotici.
Il coronavirus, nell’arco di poco tempo, si è diffuso a macchia d’olio in tutto il mondo. In particolare, in Italia il dato sui decessi associati al Covid-19 è molto preoccupante. Secondo la virologa Ilaria Capua, infatti, nel nostro paese si sono registrate più morti sia rispetto al totale dei contagiati, sia rispetto ad altri Paesi sviluppati, come Germania, Francia, Giappone, Corea del Sud.
La Capua si chiede dunque se questo tasso di mortalità non sia legato al problema dell’antibiotico-resistenza. In Europa infatti, l’Italia, insieme a Cipro, è il Paese con “più ceppi batterici antibiotico resistenti”. La virologa dunque, data l’urgenza della situazione, ha voluto rivolgere un appello ai patologi, affinché possano fornire il prima possibile maggiori informazioni su come sia possibile che il Covid-19 in Italia stia conducendo alla morte di così tanti pazienti, e su un’eventuale relazione con l’uso di antibiotici.
Coronavirus: i troppi antibiotici sono causa delle morti in Italia?
Possibile che in Italia il numero di decessi a causa del coronavirus sia legato all’antibiotico-resistenza? La nota virologa Ilaria Capua pone i riflettori su questo stringente problema: “Lo dico con molto rispetto, ma senza alcuna remora: questi decessi sono un’anomalia che dobbiamo approfondire e studiare con cura e velocità”. La dottoressa ha aggiunto poi “in Italia c’è un altro problema che continua a non avere l’attenzione che merita e di cui nessuno, a maggior ragione, ha parlato in questi giorni: l’Italia è in Europa, insieme a Cipro, il Paese che ha più ceppi batterici antibiotico resistenti”.
Dai dati raccolti dal novembre 2019, si parla di 33.000 decessi avvenuti in Europa ogni anno per infezioni dovute a batteri resistenti agli antibiotici. Di questi oltre 10.000 sono i morti registrati in Italia. La Capua spiega quali siano i motivi della resistenza ad alcuni ceppi di antibiotici. Prima di tutto c’è l’abuso di questi farmaci: se ne usano troppi come cura per patologie dove l’impiego di questi medicinali non è essenziale.
In più anche gli allevatori ne fanno un uso troppo ingente sul bestiame: la vendita e l’uso di antibiotici destinati agli allevamenti nel nostro paese rimangono molto alte secondo i dati pubblicati dall’ultimo report dell’EMA (Agenzia Europea del Farmaco). L’Italia infatti risulta seconda solo a Cipro. L’associazione animalista Ciwf, ha dichiarato che in Italia “quasi il 70% degli antibiotici venduti sono destinati agli animali negli allevamenti”.
Coronavirus e antibiotici: il rapporto di causa effetto non è immediato
Ma è veramente così immediato il rapporto causa-effetto tra antibiotico-resistenza e decessi da coronavirus in Italia? Dopo l’appello lanciato dalla virologa Capua ai patologi, sono giunte alcune risposte. Massimo Galli, professore ordinario di Malattie Infettive all’Università Statale di Milano e primario dell’Ospedale Sacco ha risposto: “Non notiamo alcuna incidenza sui pazienti di cui abbiamo i dati”. Galli ha spiegato: “Francamente non ho una relazione di questo tipo da porre in evidenza perché la grandissima maggioranza dei pazienti che non ce l’ha fatta, è deceduta a causa di polmonite virale. Non riscontriamo, invece, una sovrapposizione batterica da microrganismi resistenti, che ci avrebbe portati ad approfondire altre possibilità e, magari, ad altre conclusioni”.
Anche l’OMS, Organizzazione mondiale della Sanità, a gennaio aveva lanciato un allarme rispetto al problema della resistenza agli antibiotici: “Mai la minaccia dell’antibiotico-resistenza è stata più immediata e il bisogno di soluzioni più urgente” aveva dichiarato il direttore generale dell’OMs, Tedros Adhanom Ghebreyesus. Ma Galli a questo ha ribattuto: “che nel 2050 i deceduti a causa di microrganismi saranno più dei deceduti da tumore è un’ipotesi accreditata, ma che questo abbia una implicazione con quello che sta accadendo e con il numero di decessi in Italia, ebbene questa è un’ipotesi che tenderei a escludere”.
Secondo l’Oms se oggi 700mila persone all’anno muoiono per infezioni resistenti agli antibiotici, il numero crescerà fino a 10 milioni fra trent’anni.
Coronavirus: i fattori legati all’alta mortalità
Quali sono allora i motivi che spiegano una così alta mortalità in Italia? Galli ha sottolineato che una percentuale così alta di mortalità (addirittura 12 volte maggiore rispetto alla Corea del Sud), è dovuta a diversi fattori. Primo fra tutti è che il dato sul tasso di mortalità prende in considerazione un numero di contagiati non reale, ma più basso rispetto ai casi di persone effettivamente infette. Questo “perché il tampone viene fatto solo a pazienti sintomatici”, mentre non sono state effettuate fino a ora vere e proprie indagini epidemiologiche su tutti i contatti reali dei malati.
In più c’è un altro fattore che incide sulla condizione italiana: il nostro paese è quello con più anziani al mondo, dopo il Giappone: il 7,5% della popolazione infatti si attesta su un’età superiore agli 80 anni. Questo incide in termini di patologie e vulnerabilità e, dai casi di cronaca, è evidente che incida non poco anche sui decessi causati da Coronavirus.
Chi è la virologa Ilaria Capua
In questi giorni medici e scienziati si stanno impegnando molto per fare divulgazione scientifica sul coronavirus, tra questi è in prima linea Ilaria Capua. Scopriamo un po’ di più su di lei. Ilaria Capua è laureata in Medicina Veterinaria presso l’Università degli Studi di Perugia, specializzatasi poi in Igiene e Sanità Animale all’Università di Pisa. La Capua ha in seguito concluso il suo percorso formativo con un dottorato di ricerca presso l’Università di Padova.
Ha dedicato la sua carriera allo studio sulle malattie infettive, nello specifico quelle riguardanti l’interfaccia uomo-animale. È stata direttrice del Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro. Tra i suoi contributi più importanti, ricordiamo che la dottoressa Capua ha avuto un ruolo molto rilevante nella lotta contro l’aviaria, malattia infettiva diffusasi nel 2003. La dottoressa ha contribuito a rendere di dominio pubblico la sequenza genica del virus della malattia. Questo portò allo sviluppo di quella che viene definita “scienza open-source”, che ha portato alla promozione di una campagna internazionale per garantire il libero accesso ai dati sulle sequenze genetiche dei virus influenzali.
In questo giorni difficili, la virologa sta dedicando molti dei suoi sforzi allo studio del Covid-19, cercando di contribuire anche alla diffusione di una corretta informazione verso i cittadini con l’obiettivo di riuscire a contenere gli allarmismi. La dottoressa guida oggi il dipartimento dell’Emerging pathogens institute dell’Università della Florida.
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