Cosa si intende per guerra commerciale, dove porteranno le restrizioni che Stati Uniti e Cina si stanno imponendo a vicenda e qual è al momento la situazione economica delle due nazioni?
Una guerra commerciale si fa sempre più concreta.
Nella mattinata di ieri, lunedì 2 aprile, la Cina ha annunciato l’operatività delle nuove imposte su 128 beni importati dagli Stati Uniti, tra cui carne di maiale e frutta, per un totale di 3 miliardi di dollari. Lo ha fatto per reagire ai dazi precedentemente imposti da Donald Trump sulle importazioni di acciaio e alluminio, con tariffe rispettivamente del 25 e 10%.
Quest’ultima mossa è stata accolta da molti come l’avvio vero e proprio di una guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina. D’altra parte, la nazione guidata da Trump aveva già una serie di doveri sull’acciaio e altri prodotti cinesi, che risalivano all’amministrazione Obama; mentre la Cina stava solo attendendo un’azione più significativa degli Stati Uniti contro la violazione della proprietà intellettuale Usa, e le nuove tariffe sembrano quasi una mossa preventiva per fissare un tavolo negoziale, prima di operazioni più decise di Trump.
Appare in ogni caso evidente il moltiplicarsi di una serie di restrizioni e rappresaglie che potrebbero seriamente modificare l’assetto economico mondiale. Vediamo allora cos’è davvero una guerra commerciale, in che condizioni ci arrivano i due paesi e cosa potrebbe accadere.
Cos’è una guerra commerciale?
Una guerra commerciale è un conflitto di natura economica, in cui due o più paesi si impongono restrizioni a vicenda al fine di danneggiare i commerci l’uno dell’altro. Possono a questo scopo anche bloccare gli investimenti verso il paese nemico, arrestare le importazioni o complicarne notevolmente i requisiti d’ingresso.
Il meccanismo è solitamente sempre innescato da originarie barriere commerciali che danno vita a rappresaglie della nazione che le ha subìte. In questo senso, le tariffe di Trump e la reazione della Cina confermano pienamente questo schema.
Uno degli esempi più noti di guerra commerciale fu originato dalla legge Smooth-Hawley, approvata dal Congresso nel 1930 e spesso identificata come la vera causa della Grande Depressione. La legge ha infatti aumentato le tariffe degli Stati Uniti in media del 20%, inizialmente per proteggere gli agricoltori americani, ma ampliandosi poi successivamente a causa delle pressioni di molte industrie, che chiedevano altre protezioni e barriere visto il crollo della domanda. Come conseguenza, il commercio globale ha subìto ripercussioni enormi.
Una caratteristica cruciale della guerra commerciale è infatti quella di non avere vincitori; quando il presidente George W. Bush ha aumentato le tariffe sull’acciaio nel 2002, il PIL degli Stati Uniti è diminuito di oltre 30 milioni e la nazione ha perso 200.000 posti di lavoro, 13.000 dei quali avevano a che fare con il trattamento dell’acciaio grezzo.
Qual è la motivazione alla base della guerra commerciale Usa-Cina
In un post su Twitter del 2 marzo Trump ha scritto che si tratta di un conflitto “giusto e facile da vincere”. Il suo obiettivo principale rimane quello di ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti, con le importazioni del paese che al momento superano di miliardi di dollari le esportazioni. La Cina ha un surplus commerciale che si aggira intorno ai 375 miliardi di dollari, e il presidente Usa vorrebbe ridurlo di almeno 100 miliardi. Finora Trump ha imposto tariffe di circa 60 miliardi sui prodotti importati dalla Cina.
Ma una vera guerra commerciale è allarmante per molti uomini d’affari statunitensi, che sostengono in gran parte gli accordi commerciali esistenti, e temono profitti più bassi e una crescita economica lenta se la nazione assume una linea protezionista e gli altri paesi preparano rappresaglie.
Come arrivano alla guerra commerciale le due nazioni
Ci si trova forse in un complicato scenario dove entrambe le forze in gioco tendono a sovrastimare le proprie forze. Da una parte gli Stati Uniti, pur restando certamente la maggiore economia del mondo, non hanno più il peso economico di una volta considerando l’ascesa di economie come Giappone o India, che ha ridotto il potere degli Usa sulle altre nazioni: nel 1960 gli Stati Uniti rappresentavano il 40% del PIL mondiale; nel 2016, circa il 10%.
Tuttavia, Trump sembra essere rimasto a una visione antica e spropositata del ruolo degli Stati Uniti nell’economia globale, esasperando così anche i comportamenti imposti alla Cina, e non tenendo sufficientemente conto delle contromosse della nazione di Xi Jinping. Il leader cinese ha a disposizione molte più possibilità rispetto al passato se sarà costretto a trovare partner commerciali alternativi agli Stati Uniti, vista la nuova e fiorente serie di mercati d’esportazione e investimenti.
Va inoltre tenuto conto del fatto che una grossa e importante fetta delle realtà economiche statunitensi è fortemente contraria alle politiche restrittive di Trump, e sta facendo non poche pressioni per cercare di invertire la rotta.
La Cina, dal canto suo, può vantare uno scenario meno spaccato vista la sostanziale dittatura. Tuttavia - come fa notare Linette Lopez su Business Insider - le imposizioni del governo centrale non sono sempre seguìte a livello locale o regionale e, in un paese vasto come la Cina, anche con uno stato autoritario ci vuole molto per dare uniformità ad azioni e atteggiamenti.
Se è quindi vero che l’economia cinese sembra aver acquisito una certa stabiltà, è altrettanto importante sottolineare come l’ostentazione di benessere da parte dei funzionari governativi non corrisponda esattamente alla realtà. Ad oggi l’economia cinese - sebbene preparata e maggiormente predisposta a una guerra commerciale rispetto agli Stati Uniti considerando l’assetto autoritario - si trova in una posizione più debole di quella che dai vertici vorrebbero far credere.
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