Il termine “paradisi fiscali” ricorre di frequente nel dibattito pubblico e nelle cronache finanziarie - ma cosa sono veramente, come funzionano e a cosa devono la loro fama? In questo articolo, scopriamo in cosa consistono i paradisi fiscali e a cosa devono questo nome
L’OCSE definisce “paradiso fiscale” un paese che presenta un imposizione fiscale bassa o prossima allo zero (in Italia corrisponde a un’imposizione del 50% inferiore a quella italiana); un sistema “ring fenced”, cioè con una tassazione contraddistinta da grande disparità tra redditi generati all’interno e all’esterno; autorità amministrative locali che non consentono il totale scambio di informazioni con le autorità degli altri paesi; un’elevata capacità di attrarre società che desiderano occultare i propri movimenti di capitale.
I paradisi fiscali possono essere distinti in quattro categorie principali:
- Pure Tax Haven che non impongono tasse (o ne esiste solo una e di valore puramente nominale), e garantiscono il segreto bancario assoluto;
- No Taxation of Foreign Income, nelle quali si tassa solo il reddito prodotto internamente;
- Low Taxation, in cui si applica una bassa tassazione sul redditi interni ed esterni;
- Special Taxation, paesi che che hanno un regime fiscale impositivo “tradizionale”, ma che prevedono anche la costituzione di società flessibili.
Contrariamente al pensiero comune, i vantaggi offerti dai paradisi fiscali non hanno a che fare solo con un’imposizione fiscale più bassa: essi permettono infatti di eludere, in maniera assolutamente legale, regole più restrittive in altri Paesi.
In particolare, in questi paesi si hanno spesso norme bancarie molto più permissive e normative tecniche e commerciali meno stringenti. Ogni stato tra quelli riconosciuti come “paradisi fiscali” vanta una sua “specializzazione”: la Liberia ha la più grande flotta di petroliere del mondo perché non ha mai sottoscritto la convenzione internazionale che obbliga le navi a dotarsi di doppio scafo; e l’80% dei fondi speculativi mondiali, noti come hedge funds, è registrato alle Isole Cayman.
L’obiettivo dichiarato dei paradisi fiscali è quello di proteggere gli interessi degli investitori che costituiscono società offshore nei loro paesi. Uno dei meccanismi più efficaci è il cosiddetto “regime fiscale territoriale“; il quale, a differenza di quelli comunemente adottati, è basato unicamente sui redditi percepiti all’interno dei confini nazionali: le persone fisiche e le società, residenti e non, sono tassate esclusivamente sui redditi e gli utili che derivano da attività svolte nel paese.
Per una società che assolve la funzione di holding con sede per esempio in Costa Rica, Hong Kong o Singapore, paesi in cui vige questo tipo di regolamentazione, il vantaggio fiscale è evidente. A questo va aggiunto che, nella maggior parte di queste giurisdizioni, le aziende non sono tenute a presentare relazioni annuali o bilanci.
Quali sono i “migliori” paradisi fiscali a cui appoggiarsi, per trarre vantaggio dalle loro agevolazioni?
Prima di tutto, bisogna distinguere tra “lista bianca” e “lista nera”. La lista bianca è costituita dai paradisi fiscali firmatari del Common Reporting Standard, un accordo promosso dall’OCSE a partire dal 2014, che elimina il segreto bancario e promuove lo scambio di informazioni finanziarie fra governi. Uno dei paradisi fiscali più noti appartenenti a questa lista è il Delaware, perché offre i vantaggi delle società a responsabilità limitata nell’ordinamento giuridico degli USA senza figurare nella lista nera. Un altro esempio sono le Isole Canarie, uno dei paradisi fiscali europei, che offre notevoli benefici in termini di aliquote delle imposte.
La lista nera invece comprende tutti quei paesi non hanno aderito al Common Reporting Standard e che non offrono scambio di dati e trasparenza sulle informazioni riguardo cittadini esteri che operano nella loro giurisdizione. Questa lista, stilata dall’Ocse, è stata creata per aiutare i membri dell’Unione Europea nella lotta contro l’evasione e l’arbitraggio fiscale. Alcuni esempi ben noti di paesi in lista nera sono le Bahamas, Panama, il Belize, Costa Rica e Dubai. In Italia, le imprese che effettuano acquisti e/o cessioni di beni e servizi con Paesi appartenenti alla lista nera devono presentare il modello di “Comunicazione Operazioni Black List”.
Una cosa che spesso si mette in secondo piano, riguardo ai paradisi fiscali, spesso oscurati dai grandi scandali che si abbattono sui loro affari, è che molte delle attività che si possono svolgere presso i loro istituti bancari e i loro uffici amministrativi sono del tutto lecite e legali. Tuttavia, è necessario affidarsi a esperti qualificati per poter avvantaggiarsi nel migliore dei modi delle opportunità offerte da questi stati e allo stesso tempo evitare di incappare in errori grossolani che mettano in repentaglio i propri affari e il proprio patrimonio.
Per fortuna, ci sono molte società che offrono questo servizio di supporto e consulenza, per esempio www.paradisi-fiscali.org, mettendo a disposizione del cliente team di professionisti di comprovata esperienza, in grado di gestire la creazione e l’amministrazione di conti e società all’estero e di garantire un reale risparmio e una tutela legale dei propri beni e dei propri investimenti.
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