Il consumo di CO2 da parte dell’1% delle persone più ricche al mondo mette a rischio gli obiettivi climatici per il 2030, con il 50% dei più poveri che ne pagherà le conseguenze. Lo studio di Oxfam.
Dal 31 ottobre sono iniziati i lavori a Glasgow della COP26, con i leader mondiali che si stanno incontrando per stabilire delle politiche da attuare per frenare il riscaldamento globale sotto la soglia di 1,5°C entro il 2030.
Proprio mentre sono stati siglati i primi accordi concreti, tra cui la nascita della Global Energy Alliance e gli impegni della finanza globale in questo settore, è stato pubblicato un nuovo studio che mostra come le emissioni prodotte dall’1% della popolazione più ricco del mondo mettono a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici.
L’1% più ricco al mondo mette a rischio la lotta al cambiamento climatico
Il documento, commissionato da Oxfam e realizzato dall’Istituto per la politica ambientale europea e dall’Istituto per l’ambiente di Stoccolma, ha rivelato che la produzione di anidride carbonica da parte dei più ricchi nel 2030 sarà di circa 70 tonnellate all’anno di CO2 pro capite, pari al 16% del totale.
Si tratta di un consumo 30 volte superiore al livello consentito per fermare l’aumento delle temperature, il quale, secondo la quota globale fissata dagli accordi di Parigi divisa per ogni abitante adulto del pianeta, dovrebbe essere di 2,3 tonnellate all’anno per persona. Ovvero circa la metà di quanto viene consumato attualmente.
Come viene rilevato nell’analisi, l’1% a cui si fa riferimento comprende non solo patrimoni milionari e miliardari, ma chiunque può contare su un reddito annuo superiore a 172 mila dollari.
Il 50% più povero pagherà le conseguenze del riscaldamento globale
Inoltre, anche chi appartiene al 10% dei più ricchi, cioè con un reddito annuo superiore a 55 mila dollari, sarà responsabile nel 2030 di una produzione pro capite di 18,7 tonnellate di CO2, ovvero tra 8 e 9 volte di quella stimata come soglia massima per raggiungere il traguardo fissato dalla COP21.
La classe media, che rappresenta il 40% della popolazione mondiale, con una previsione di 2,5 tonnellate di anidride carbonica prodotta per persona, è da considerare invece in linea con il livello di emissioni considerato sostenibile.
A pagare le conseguenze di questi comportamenti sarà invece il 50% della popolazione costituito dai più poveri, nonostante questi ultimi, secondo la stessa analisi, rilasceranno una media di appena 1 tonnellata di CO2 all’anno.
COP26, obiettivo giustizia climatica
Questo studio dimostra ancora una volta come la crisi climatica e la disuguaglianza sociale siano strettamente connesse.
Motivo per cui la lotta al riscaldamento globale deve essere accompagnata da politiche in grado di promuovere anche una reale giustizia climatica da parte dei Governi e delle istituzioni internazionali.
Per essere veramente efficace, la COP26, in programma fino al 12 novembre, dovrà produrre quindi delle misure in grado di contrastare concretamente una minoranza che, nei prossimi 10 anni, potrebbe rappresentare il più grande ostacolo nel mantenere l’incremento della temperatura del pianeta entro la soglia massima di 1,5°C.
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