Siamo davvero in emergenza alimentare, forse. Secondo i dati delle associazioni agricole l’Italia dipende per appena il 5% dal grano ucraino, ma allora perché si parla tanto di crisi alimentare?
Siamo vicini alla crisi alimentare? Nì. Per l’Europa si aggira lo spettro della crisi alimentare, ma quanto è probabile che in Italia saremo privati del cibo sugli scaffali? In passato abbiamo trattato il tema dell’aumento dei prezzi e della carenza di grano, ma non tutto dipende dalla guerra in Ucraina. La crisi alimentare globale infatti dipende da molti fattori, solo in parte legati alla produzione o all’export da un solo Paese.
La crisi alimentare nel quadro della narrazione della guerra in Ucraina, come da settimane ricordano gli esperti, non deve aprire la porta all’aumento di produzione intensiva. La cancellazione degli standard ambientali per la produzione potrebbe essere il colpo di grazia definitivo e la vera iniezione di crisi alimentare su larga scala.
Secondo quanto riportato dal WWF le Associazioni agricole europee stanno, senza un vero motivo, amplificando l’idea della crisi alimentare. L’obiettivo, secondo questa analisi, è quello di “ridimensionare le norme ambientali che impattano sugli interessi economici”.
L’agricoltura intensiva produce grandi quantità di beni a basso costo, ma lo fa a discapito di altri: dallo sfruttamento del terreno, alle persone. L’Italia non dipende dall’esportazione alimentare dell’Ucraina, almeno non oltre il 5% del proprio fabbisogno, che potrebbe essere soddisfatto in altri modi. A risentire maggiormente dello stallo alimentare creato dalla guerra è il settore degli allevamenti. Consumare meno carne, in un quadro più ampio - con la conversione di zone per l’allevamento in zone di coltivazione - aiuterebbe a mitigare la crisi alimentare.
La crisi alimentare c’è, ma non in Occidente: come funziona la narrazione della crisi
I grandi eventi, come le guerre e le pandemie, sono grandi narrazioni. La crisi alimentare, al fianco della crisi umanitaria, ambientale e del lavoro fa parte del complesso sistema che regola il mondo. La guerra in Ucraina è stata l’occasione per molti mercati di riempirsi le tasche. Innegabile il guadagno delle aziende delle armi - che abbiamo già approfondito in passato - ma anche il settore agricolo e alimentare non è da meno.
Siamo vicini a una crisi alimentare? No, non del tutto. Come fa notare WWF, la produzione alimentare globale “è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale”. La crisi percepita e in alcuni casi provata dipende da molti altri fattori e non solamente dalla guerra in Ucraina. Tra i fattori troviamo l’aumento della popolazione, il cambiamento climatico, le politiche commerciali, le pandemie, la speculazione finanziaria e, ovviamente, i conflitti.
La crisi alimentare c’è, da sempre, ma solo in quegli angoli di mondo dove la stabilità dei fattori sopra descritti viene meno, dove c’è una guerra, dove gli effetti del cambiamento climatico - causato dal lusso e dall’eccesso tipico dei Paesi ricchi occidentali - hanno un maggiore impatto. Avremo in Italia carenze di grano a causa della crisi in Ucraina? No, ma nei Paesi poveri e dipendenti totalmente dalla produzione estera sì.
La crisi alimentare non esiste, ma tutti ne parlano: perché
La narrazione della crisi alimentare aiuta qualcuno, per esempio le aziende che possono giocare con il prezzo o la quantità di cibo (fenomeno della shrinkflation). Sopra tutti si trovano le grandi società agroalimentari, di pesticidi e concimi chimici.
Sono queste le realtà che da una narrazione di crisi possono guadagnare maggiormente. In presenza di una crisi alimentare gli Stati sono portati a chiudere un occhio di fronte all’aggressione dell’ecosistema. L’effetto della poca lungimiranza su politiche ambientali, quali le norme per la produzione agricola, a lungo termine potrebbero avere effetti gravi. In quel caso potremmo davvero dire di trovarci in una crisi alimentare.
L’agricoltura intensiva, in particolare grazie a norme di deregolamentazione, non cura gli ecosistemi e dedica gran parte dello spazio a monocolture, cioè una coltura di un’unica specie vegetale in maniera intensiva e standardizzata, al fine di massimizzare le rese e ottenere il massimo profitto. Le conseguenze sono piuttosto rilevanti: rendono sterili i terreni, impoveriscono le sorgenti genetiche dell’agricoltura e favoriscono la diffusione di insetti infestanti e malattie fungine.
Come risolvere la crisi alimentare senza causare una crisi alimentare
La crisi alimentare non esiste, o almeno non nel lato del mondo migliore, ma se ne parla tutti i giorni, causando effetti di isteria collettiva e di accumulo di beni quali olio di semi di girasole e pasta. Si genera un gran guadagno, ma soprattutto aumenta la domanda alle quali si risponde con una maggiore produzione.
Il cortocircuito è annunciato. Al contrario è l’agroecologia, cioè un approccio attento all’ambiente, la vera soluzione. Le filiere corte, per esempio, garantirebbero cibo fresco, a km 0 o quasi, con una produzione su piccola scala senza sprechi. Un investimento in tal senso aumenterebbe i posti di lavoro e offrirebbe stabilità ai dipendenti di un settore fin troppo spesso occupato da un sistema di sfruttamento.
In Italia si va verso questa direzione ed entro il 2027 si sta ragionando sul raggiungimento della quota del 25% di superficie agricola certificata. Insomma, dalla crisi climatica non siamo poi così distanti, ma si può ancora invertire la rotta.
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