I Dpcm sono il provvedimento più utilizzato dall’inizio dell’emergenza Covid ma sono ampiamente criticati perché ritenuti meno garantisti dei decreti legge (dai quali si differenziano). Ecco cosa sono e dubbi di legittimità avanzati.
Dpcm è una sigla che prima dell’emergenza Covid era sconosciuta ai più, invece questo strumento normativo è diventato di largo uso per imporre nuove restrizioni, divieti e misure di prevenzione e protezione.
La differenza rispetto ai decreti leggi è evidente: i Dpcm sono emanati dal solo Presidente del consiglio - e non dal Consiglio dei ministri - e non devono essere convertiti in legge dal Parlamento.
Proprio per questo c’è chi ritiene che sia illegittimo utilizzare i Dpcm per imporre nuove misure anti-Covid o prorogare quelle già in atto, specie se i divieti in oggetto riguardano diritti costituzionalmente sanciti, ad esempio la libertà di spostamento sul territorio nazionale.
In questo approfondimento spiegheremo la differenza tra decreto legge e Dpcm, come funzionano e come mai questi ultimi sono criticati a tal punto da essere ritenuti “illegittimi” da alcuni.
Dpcm e decreto legge: le differenze
Dpcm sta per “Decreto del Presidente del consiglio dei ministri”, è un atto previsto dalla legge di competenza esclusiva del premier e immediatamente efficace. Il decreto legge, invece, è un atto che prevede il coinvolgimento sia del premier che dell’intera squadra dei ministri, per questa ragione richiede tempistiche maggiori.
Rispetto al Dpcm, il decreto legge è considerato più garantista, dato che la stessa Costituzione (articolo 77) prevede che debba essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni, pena la perdita di efficacia di quanto previsto nel testo approvato.
In altre parole, soltanto i decreti legge garantiscono il coinvolgimento del potere legislativo che, al contrario, nel caso dei Dpcm è totalmente escluso.
Questo è il motivo per cui molte forze politiche si sono opposte all’utilizzo massivo dei decreti ministeriali con i quali il dialogo democratico è ridotto, se non azzerato. D’altro canto Conte ha sempre giustificato la sua scelta con l’esigenza di assicurare la prontezza d’intervento, e, in tal senso, i Dpcm sono senza dubbio gli strumenti più veloci in assoluto.
Dpcm: cosa sono e come funzionano
La peculiarità dei Dpcm è che sono atti “unilaterali” voluti esclusivamente dal premier senza coinvolgere il Consiglio dei ministri in seduta collegiale.
Nella scala delle fonti del diritto, i decreti del Presidente del consiglio sono atti amministrativi di secondo grado, quindi inferiori sia alle leggi del Parlamento che ai decreti legge e ai decreti legislativi delegati.
Prima dell’emergenza Covid, i Dpcm erano utilizzati perlopiù per risolvere questioni tecniche su un settore o ambito specifico e mai prima d’ora era accaduto che avessero una rilevanza nazionale di così grande portata. Esempio tipico di Dpcm è quello con cui sono disciplinati i criteri per le nomine dirigenziali.
Tuttavia ogni Dpcm - essendo di rango inferiore - deve “reggersi” su una legge o su un decreto che ne stabilisca ambito di applicazione, principi e i limiti, altrimenti sarebbe incostituzionale.
I Dpcm sono legali?
Il largo uso dei DPCM ha fatto sorgere dei dubbi circa la legalità di questo strumento. La questione non riguarda la legalità “formale” dell’atto ma il suo contenuto: i decreti del premier sono stati utilizzati per imporre restrizioni notevoli (come l’obbligo della mascherina) e limitare alcune libertà fondamentali, in primis gli spostamenti tra regioni e comuni.
Sotto questo punto di vista, si è sollevato un acceso dibattito poiché - secondo alcuni - i Dpcm violano la riserva di legge in merito alle libertà fondamentali. Significa che ogni restrizione alle libertà sancite dalla Costituzione dovrebbe essere imposta con legge o decreto legge, e non con atti amministrativi di secondo grado, quali sono i Dpcm.
Dubbi che non sarebbero sorti se il governo avesse scelto il decreto legge come strumento preferenziale, così da rispettare la riserva di legge e garantire il coinvolgimento del Consiglio dei ministri e del Parlamento in sede di conversione.
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