I capi filiale di Boston e Dallas costretti a liquidare i loro portfolios milionari, l’attuale numero uno dell’Fmi accusata dalla sua ex istituzione di falso upgrade del ranking cinese. Serve altro?
Da qualche giorno, la stampa ha preso a cuore la vicenda di Evergrande. E non tanto per il risvolto finanziario della vicenda, quanto per quello sociale. I riflettori mediatici, infatti, si sono accesi con l’inizio delle proteste di dipendenti e investitori. Di colpo, la copertura dell’evento è divenuta degna di una Tienanmen del leverage. Insomma, quando di mezzo c’è la Cina, spesso e volentieri il metodo Bbc che dovrebbe sovrintendere il sano giornalismo - dividendo fatti e giudizi - viene accantonato.
In compenso, pare funzionare a meraviglia la logica dello sporco sotto il tappeto. Perché sempre da qualche giorno, negli Usa tiene banco un argomento decisamente scomodo. I potenti capi delle filiali di Boston e Dallas della Banca centrale, Eric Rosengren e Robert Kaplan (quest’ultimo ex numero uno dell’I-banking di Goldman Sachs), sono infatti finiti nella bufera per la loro lucrosa e personale attività di trading nel 2020, uno scandalo che li ha costretti a comunicare ufficialmente la decisione di liquidare tutte le posizioni ancora in essere entro il 30 settembre e investire i profitti in fondi indicizzati differenti o detenerli in liquidità.
Nessuno ovviamente si attendeva un’elargizione in beneficenza, tanto più che i due hanno voluto sottolineare come la decisione presa non abbia a che fare con violazioni del codice etico ma unicamente come atto di buona volontà per tacitare polemiche che potrebbe screditare l’istituzione per cui lavorano. Manca poco che occorra chiedere loro scusa per il disturbo. Resta un fatto, anzi due. Primo, come mostra questo grafico,
la scelta di Robert Kaplan di vendere è comunque giunta al termine di un discreto rally. Secondo, agenzie di stampa alla mano, i due presidenti di filiale coinvolti sono stati nell’anno e mezzo di pandemia e pantomima sul taper e programma di stimolo fra i commentatori (sempre a mercati aperti) più attivi in assoluto.
Quindi, non solo operavano avendo palesemente informazioni da insider dall’organismo che più di tutti ha gestito gli umori e le fortune della Borsa dal crollo Lehman in poi ma, soprattutto, pagano lo scotto del sospetto di possibili interessi privati in dichiarazioni che possono aver cambiato il corso degli indici. Decine di volte, oltretutto. In America, giova sottolinearlo e ammetterlo, il caso ha fatto rumore. E su media di prim’ordine del campo finanziario come Wall Street Journal o Bloomberg.
Altrove, un po’ meno. D’altronde, c’erano le proteste stile Codacons davanti alla sede di Evergrande da coprire con grande dispendio di indignazione. Ma la cosa non stupisca. Perché se a qualcuno venisse da chiedersi come mai il numero uno del Tesoro, Janet Yellen, non abbia tuonato contro questa brutta pagina della storia della Fed (oltretutto in vista della scadenza di mandato di Jerome Powell a febbraio e con il Treasury come azionista di riferimento per la sua conferma), la risposta sta in questi grafici.
La ex numero uno della stessa Fed, ora potente capo dei conti statunitensi, negli anni e anche durante la pandemia ha arrotondato il suo stipendio con svariate performance da oratore presso congressi organizzate da banche. Soprattutto da Citadel, il Primary dealer preferito dalla Casa Bianca. Il quale ha pagato profumatamente la Yellen anche per interventi via Skype durante i lockdown. In compenso, grazie all’attivismo nell’acquistare flussi di trading retail da Robinhood, ha potuto godere di un 2020 con i fiocchi.
Lo stesso annus horribilis per il mondo intero che invece si è dimostrato da ricordare anche per Kaplan e Rosengren. Infine, la perla. Giunta proprio oggi. La World Bank, infatti, ha reso noto che sospenderà la pubblicazione del suo report annuale Doing Business, a seguito della chiusura dell’indagine interna compiuta su presunte irregolarità emerse nelle edizioni del 2018 e 2020 (davvero un anno maledetto). E quali evidenze sarebbero emerse dall’inchiesta interna, tali da portare allo stop delle pubblicazioni? L’ex CeO della World Bank, Kristalina Georgieva e il suo vice, Simeon Djankov, avrebbero fatto pesanti pressioni affinché in quei report venissero artatamente migliorati i dati macro relativi alla Cina.
Il motivo? Lo scrive la World Bank nel comunicato odierno, nero su bianco: .. La scelta faceva parte di un tentativo di miglioramento del ranking di Pechino, in contemporanea con l’attesa da parte della stessa Cina dell’assunzione di un ruolo di prima piano nella campagna di aumento di capitale della Banca. E se un dubbio vi sta assillando da qualche riga, ebbene sì: si tratta della stessa Kristalina Georgieva che ora guida il Fondo Monetario Intenazionale, il controllore dei comportamenti finanziari degli Stati, il membro forse più temuto della triade di cui è composta la mitologica Troika.
Certamente, Evergrande rappresenta un argomento molto interessante. Non fosse altro perché, nonostante le grancasse, questo grafico finale
mostra come l’unica delle sue securities che ancora opera sul mercato - dopo il bando del trading di tutti i bond imposto per la giornata di oggi dalle autorità cinesi - stia avvicinandosi a quota zero con parabola molto simile a quella di Enron. Eppure, il sole è sorto anche oggi. L’Europa ha chiuso in rialzo. E Wall Street non è certo crollata. Forse perché Evergrande sta platealmente operando da detonatore di un così fan tutti che potrebbe far più male fuori dai confini cinesi che dalle parti di Shenzhen? Nell’attesa, una domanda sorge spontanea: alla luce di tutto questo, chi controlla i controllori? Con calma, fra una cronaca e l’altra degli assedi dei correntisti cinesi, forse sarebbe il caso di cercare una risposta. Prima che sia tardi, prima che salti fuori dal nulla un altro 2008.
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