Debito buono e debito cattivo: perché sono importanti e quali sono le differenze

Redazione

05/03/2022

Mario Draghi ha parlato di debito buono e cattivo, portando a riflettere sul ruolo del debito nel settore pubblico e privato. Una breve analisi sul debito pubblico italiano.

Debito buono e debito cattivo: perché sono importanti e quali sono le differenze

A cura di Antonio Pogliese

È stato il Presidente Draghi a parlare di“debito buono e debito cattivo”. A una valutazione superficiale la frase appare scarna e banale mentre, al contrario, in modo conciso induce a riflettere sul debito sia nel settore pubblico che privato.

Nel nostro Paese la questione del debito assume una notevole rilevanza sia nel pubblico che nel privato; e ciò in quanto il debito pubblico italiano rispetto al Pil, allo Stato, si aggira intorno al 156,3% mentre nel privato il sistema delle imprese si caratterizza per essere sottocapitalizzato, con la conseguenza della necessità di fare ricorso al debito anche per la gestione ordinaria.

Il debito del settore pubblico

Il rapporto debito pubblico/Pil fino al 1980 era il 54,39%. Tale rapporto è cresciuto anno dopo anno per arrivare al 101,30 nel 1992, al 136,20% nel 2019 e nel 2022 il rapporto oscilla intorno al 156,3% a fronte dei Paesi Ue, la cui media è del 102,20%. Per il corrente anno 2022 si stima un Pil mondiale da 1000 miliardi di dollari Usa, col debito globale di 226.000 miliardi di dollari Usa, cioè al 256%.

Ritornando in Italia il debito pubblico è progressivamente cresciuto in quanto le uscite, nei bilanci dello Stato degli anni trascorsi, sono state sistematicamente di importo maggiore rispetto alle entrate col risultato di un deficit annuale (strutturale) che è stato finanziato facendo debiti, nelle varie forme, col risultato del progressivo incremento del debito pubblico complessivo.

Il finanziamento del debito pubblico nei mercati produce interessi passivi, ai tassi, per le nuove emissioni, fissati dalle Autorità Monetarie Europee in relazione alla politica monetaria e all’inflazione.
In Italia in questi ultimi anni il tasso medio di interessi del debito pubblico è stato maggiore rispetto al tasso di crescita col risultato di contribuire alla crescita del debito.

Dai dati sopra riportati relativi al debito si desume la rilevanza che lo stesso assume nel mondo intero, sia per i Paesi economicamente evoluti che per quelli in via di sviluppo e del terzo mondo.
Il debito, come tale, non deve essere demonizzato in quanto può essere fonte di produzione di valore economico oppure può causare il “default” con diseconomie che generano povertà (default Grecia-Argentina).

Nel primo caso il debito è buono, nel secondo è cattivo. È debito buono quello per realizzare investimenti nelle infrastrutture che determinano l’aumento della produzione di un’area o di un settore del paese e, comunque, può essere rimborsato alla scadenza in relazione alla previsione delle entrate ordinarie.

Debito cattivo è quello che finanzia le spese improduttive nonché quello che viene concesso senza la certezza di poter essere rimborsato alla scadenza.
Va detto che anche il debito cattivo alla fine finisce con l’incrementare i consumi e, quindi, per una parte minima, contribuisce alla produzione di ricchezza.

Il debito del settore privato

Per il settore privato va considerato che, malgrado alcuni incentivi per la capitalizzazione del sistema delle imprese, l’ultimo nella forma di crediti di imposta per la destinazione degli utili netti dell’anno 2020 all’aumento del capitale netto di cui alla legge 11 settembre 2020 n. 120, il sistema delle imprese italiane resta sottocapitalizzato. Ciò determina che il sistema delle imprese ha necessità di fare ricorso al capitale di terzi anche per la gestione ordinaria.

Nella generalità dei casi il settore delle imprese italiano fa ricorso ai fidi bancari. Anche in questo caso è possibile distinguere fra debito buono e debito cattivo. Il primo è quello destinato a finanziare il processo produttivo per produrre valore.

In tal caso, il ricorso al debito bancario rappresenta, quindi, un asset. Il debito cattivo, invece, è quello destinato a coprire, per un tempo limitato, le perdite economiche gestionali del passato, con l’effetto di non creare nuova ricchezza bensì l’aumento dei costi d’esercizio, col risultato di incrementare le perdite della gestione tipica.

Nel caso di debito buono nel privato la capacità delle imprese di avere credito determina la bancabilità dell’impresa che costituisce un asset notevole dell’azienda. Sul tema della bancabilità rileva anche la valutazione riservata all’istituto di credito con cui l’impresa intrattiene rapporti.
Sul punto va messo in evidenza che, da diversi anni a oggi, lo Stato ha delegato agli istituti di credito fasi importanti di controllo di legalità.

Nel caso, ad esempio, della normativa antiriciclaggio con specifiche norme di legge e altri provvedimenti della Banca d’Italia; in altri casi, in base ai principi di diritto e della giurisprudenza che, sovente, rilevano nel mercato creditizio e nelle modalità di formazione dei processi per l’erogazione del credito.

Tutto ciò è riferito, sul piano dei principi, a tutti gli istituti di credito. Va da sé che per i maggiori istituti di credito italiano (Intesa Sanpaolo, Unicredit, BPM) attuano i processi di controllo più incisivi anche per la concessione di fidi per importi più rilevanti.

In punto di fatto, quindi, la bancabilità di un’impresa, nella valutazione del mercato, è condizionata anche dalla qualità degli istituti di credito che hanno concesso credito, in quanto si presume che la correttezza del rapporto implicitamente conferma il rispetto, da parte delle imprese, di diversi principi di legalità.

È possibile concludere che lo sviluppo dell’economia in Italia e nel mondo trovi fondamento anche nella fiducia e nel debito. Fiducia e debito che rappresentano i due lati di una medaglia.

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