A Bruxelles si discute del Debt Redemption Fund (Fondo di Redenzione del Debito). Di cosa si tratta e a quali conseguenze potrebbe condurre?
Un gruppo di esperti della Commissione Europea, nominati dal Presidente della Commissione Barroso in accordo col suo vice Olli Rehn, sta lavorando, su proposta del tedesco German Council of Economic Experts, alla messa a punto di un meccanismo di consolidamento fiscale (il Debt Redemption Fund) per tutti i Paesi dell’Eurozona con un rapporto debito pubblico/Pil superiore al 60%. Tra questi paesi c’è, ovviamente, anche l’Italia, in quanto il suo rapporto debito/Pil è superiore al 133%.
Come funzionerebbe il Debt Redemption Fund?
La proposta in realtà non è ancora ben definita nei dettagli. Ci sono però già delle bozze presentate dal gruppo di esperti il 12 Novembre alla riunione della Commissione. Il Debt Redemption Fund (ossia il Fondo di Redenzione del Debito) verrebbe costituito tramite la confluenza in esso della quota di debito di ciascun paese dell’Eurozona eccedente il 60% del Pil. Questa parte di debito verrebbe dunque gestita dal Fondo di Redenzione, il quale potrebbe, ragionevolmente, collocare titoli sul mercato finanziario a bassi tassi d’interesse.
Quali oneri per i partecipanti al Debt Redemption Fund?
Per ciascun paese (prendiamo ad esempio l’Italia, la cui quota di debito eccedente il 60% del Pil è pari al 70% del Pil) graverebbero due oneri:
- da una parte l’onere di continuare a gestire la quota di debito residuo, pari al 60% del Pil;
- dall’altra parte quello di estinguere nel giro di 20-25 anni la parte di debito collocato nel Fondo
L’analisi dei due oneri
Cominciando con il secondo onere, che rispetta in pieno i dettami del Fiscal Compact, esso consiste nel prelievo annuale automatico dal gettito fiscale italiano di un ventesimo del debito confluito nel fondo: parliamo di cifre pari a circa 40-45 miliardi di euro l’anno. Avremmo quindi due possibili conseguenze:
- o un drastico taglio della spesa pubblica (che nuocerebbe fortemente alla crescita);
- oppure un aumento della tassazione (anch’esso di pari entità negativa)
A garanzia del mantenimento degli impegni, verrebbe chiesto all’Italia, come ha evidenziato Sebastiano Fadda,
una sorta di pignoramento di una quota del gettito fiscale e delle riserve auree della Banca D’Italia, che verrebbero acquisite assieme all’espulsione dal Fondo in caso di inadempienza o di ritardo.
Per quanto riguarda il primo onere, si potrebbe avanzare il dubbio che per l’Italia sia possibile gestire il debito residuo (vincolando la gestione al non superamento della soglia del 60%) in maniera cosìddetta sostenibile, in quanto il rapporto tra tasso d’interesse e tasso di crescita del Pil sarebbe troppo alto.
Quali conseguenze economiche?
Cii sono forti dubbi riguardo il fatto che il Debt Redemption Fund possa favorire, assieme alla riduzione del debito, anche la ripresa economica dei paesi dell’area Euro in difficoltà. Il Debt Redemption Fund potrebbe raggiungere questi obiettivi qualora le economie dell’Euro sperimentassero elevati tassi di crescita del Pil.
L’attuale mancanza di crescita obbliga i paesi dell’Euro a realizzare cospicui avanzi primari se lo scopo è quello di stabilizzare al 60% il rapporto debito/Pil. La realizzazione di avanzi primari ridurrebbe fortemente il prodotto nazionale, il che farebbe ulteriormente peggiorare il rapporto debito/Pil. Lo stesso risultato lo avrebbe l’onere derivante dalla progressiva estinzione del debito in mano al Fondo di Redenzione.
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