Nonostante Joe Biden non sia valutato bene dagli americani, con un 42% di approvazione per la Casa Bianca, il partito repubblicano rischia di perdere ancora alle elezioni presidenziali del 2024.
Il partito repubblicano è preda di un paradosso, e rischia di non vincere alle prossime elezioni presidenziali del 2024 anche se Joe Biden, lo sfidante che il nominato repubblicano dovrà battere, è il candidato da sogno per una opposizione che sia capace di fare il proprio mestiere.
Avevo descritto la situazione del presidente Biden nel blog della settimana scorsa, e la riassumo così: politicamente perdente in Congresso, fisicamente e mentalmente in imbarazzante declino. Ecco perché, di fronte a ciò, è urgente e interessante capire se il GOP saprà giocare la sua partita, o se si farà prendere da una vocazione suicida.
Gli elettori americani un’opinione ce l’hanno, e l’hanno espressa nel sondaggio di questa settimana di ‘Politico/Morning Consult’. È prematura, ma indicativa. Se l’elezione si tenesse oggi, Biden perderebbe contro un “generico repubblicano” senza nome, e non di poco ma per ben nove punti: il 37% confermerebbe Biden, il 46% promuoverebbe il Mister Gop ancora da definire. Facile, allora? Per niente. Quando i sondaggisti hanno dato un nome e cognome ai potenziali avversari di Biden, proponendo dei testa a testa reali, la faccenda si è fatta spessa. Ted Cruz, il senatore texano, perderebbe contro Joe per 39 a 45. Il governatore della Florida Ron DeSantis per 39 a 44. L’ex vicepresidente Mike Pence per 42 a 44.
Di questi tre uomini politici si sa da tempo che hanno tutte le intenzioni di iscriversi alle primarie del GOP fra un anno, e non è rassicurante per il pubblico conservatore-repubblicano vedere che i suoi portabandiera dichiarati sono dietro un presidente DEM che, di suo, colleziona da un anno solo fiaschi e bocciature. Lo stesso sondaggio Politico-Morning Consult registra infatti un misero 42% di approvazione per la Casa Bianca di Biden e un tasso di disapprovazione del 56%: il forte gap di 14 punti è aggravato dal fatto che nella larga maggioranza di americani che disapprovano il lavoro del presidente in carica, il 39% lo condanna “fortemente”. E la bocciatura della amministrazione Biden avviene mentre oltre due americani su tre (il 68%) credono che gli Stati Uniti stiano andando “su un binario sbagliato”.
Già così, per il GOP, la prospettiva 2024 appare quindi preoccupante. Ma non è finita. C’è un repubblicano che non ha ancora fatto sapere se si candiderà ma che avrebbe più voti degli altri contro Biden, se lo facesse: ovviamente è Donald Trump, che secondo lo stesso sondaggio perderebbe ancora. Come nel 2020, anche se solo per un punto, 45% a 44%.
E l’ex presidente repubblicano, che coltiva seriamente il sogno della rivincita, alle primarie del partito vincerebbe la nomination relegando gli altri concorrenti in fondo alla lista: lui, Donald, risulta primo con il 49% dei votanti repubblicani, davanti a DeSantis con il 14%, a Pence con il 13%, e al senatore dello Utah Mitt Romney con il 4%. Richiesti poi di indicare il candidato preferito se Donald Trump si chiamasse fuori dalla corsa, il 25% ha indicato DeSantis, il 14% “qualcun altro” e solo il 12% ha citato Pence. I sondaggisti avevano pero’ inserito in questa seconda rilevazione, al posto di Donald Trump, suo figlio Donald Trump Junior, e gli interpellati gli hanno dato il 24% di preferenze, un punto dietro DeSantis. La nostalgia del “marchio Trump” tra i repubblicani è dunque viva e vegeta, a dispetto del fatto che la presenza di un Trump sulla scheda sarebbe la motivazione più forte per far andare ai seggi i Democratici, anche quelli molto critici di Biden.
Se i DEM piangono, insomma, il GOP non ride. Il tempo, però, gioca a favore dei repubblicani. Le elezioni di medio termine fra nove mesi non solo rinnoveranno interamente la Camera e un terzo del Senato. Serviranno, anche, a rimescolare il clima politico all’interno del GOP, sempre che riesca a rispettare fra nove mesi la previsione di ribaltare le maggioranze nei due rami del Congresso.
Il controllo della Camera appare infatti alla portata dei Repubblicani: questo esito è quasi preannunciato dalla decisione di una trentina di Democratici attualmente in carica di non ricandidarsi nel 2022 per il mandato biennale da deputato. L’ultimo Democratico a lasciare è stato Jim Cooper, del Tennessee, che era stato eletto per la prima volta nel 1982 e ha annunciato il ritiro due giorni fa. Questi abbandoni indeboliscono il partito che li subisce, e al GOP serve conquistare solo 5 seggi per scalzare Nancy Pelosi dalla sua attuale posizione di Speaker e insediare al suo posto Kevin McCarthy, attuale leader della minoranza repubblicana. Nel GOP, quelli che non cercano la rielezione alla Camera sono 18, molti di meno.
Al Senato, il leader della minoranza del GOP Mitch McConnell sta intanto, da parte sua, attuando una strategia a doppio binario. Primo, riconquistare la maggioranza dei senatori, che oggi sono 50 a 50, dettando una linea di attacco propagandistico incentrato sulle critiche a Biden, e ai suoi insuccessi. Secondo, ignorare Trump. “Queste elezioni saranno una pagella sulle performance dell’intero governo democratico: il presidente, la Camera e il Senato”, ha detto McConnell ai giornalisti giorni fa. “State sicuri su questo, il voto del prossimo autunno è un referendum su questo governo interamente democratico”.
Di Trump, anche se glielo chiedono, il leader del GOP al Senato non parla. Sarebbe una distrazione, a vantaggio dei DEM. L’idea di McConnell è che il vero obiettivo, suo e del GOP, è quest’anno vincere in Congresso. Una affermazione repubblicana lo farebbe tornare leader della maggioranza, e rafforzerebbe il partito contro la Casa Bianca democratica. Inoltre, darebbe visibilità a nuove figure emergenti, fuori dell’orbita di Trump. Così è stato in Virginia con la sorprendente conquista del posto di governatore da parte di Glenn Youngkin, che aveva saputo tenersi lontano da Donald e farsi apprezzare per le sue proposte concrete su educazione, economia e Covid. Un partito rinnovato e vincente in parlamento avrebbe minore bisogno della leadership di Trump e si libererebbe della sua battaglia di retroguardia: insistere nella tesi che l’elezione gli è stata rubata. È la scommessa di McConnell per uscire dal paradosso.
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