Dollaro troppo forte, per Trump danneggia l’economia

Elisabetta Scuncio Carnevale

03/03/2019

Il presidente Donald Trump si scaglia, ancora una volta, contro la politica monetaria della FED

Dollaro troppo forte, per Trump danneggia l’economia

Il presidente Donald Trump torna a criticare la politica monetaria della Federal Reserve.

Questa volta, l’attacco alla banca centrale statunitense (e al suo presidente Jerome Powell) arriva dal palco di Oxon Hill, nel Maryland, durante l’annuale Conferenza dei conservatori americani.

Per il presidente USA, le decisioni della banca contribuirebbero al rafforzamento del dollaro, danneggiando così la competitività degli Stati Uniti.

Trump ancora all’attacco, nel mirino del tycoon ancora la FED

“Nella FED abbiamo un gentiluomo che ama la stretta quantitativa e che adora un dollaro molto forte”,

dice il governatore USA, nel suo lungo intervento, durato quasi due ore. Trump non cita mai Powell, ma il riferimento è palese.

Il presidente degli Stati Uniti non nega la necessità di un dollaro forte che faccia bene al paese, ma non lo vuole così forte da essere proibitivo per gli affari con le altre nazioni: non favorisce le esportazioni.

Non è la prima volta che Trump critica la politica monetaria della Federal Reserve e le decisioni del numero uno Jerome Powell. Da mesi, il tycoon continua a scagliarsi contro l’aumento dei tassi di interesse interferendo, almeno a parole, con l’autonomia della banca.

Era stato lo stesso Donald Trump a volere Powell alla guida della FED. Un amore che, dopo pochi mesi, si è raffreddato, fino a portare il capo della Casa Bianca a criticarne aspramente le manovre adottate e a chiederne, in più occasioni, la testa.

Nel 2018, in un solo anno, la FED ha proceduto all’aumento dei tassi di interesse per ben quattro volte. Recentemente, alcuni membri hanno ammesso l’errore di tali manovre. La banca ha anche annunciato che aspetterà prima di inasprire ulteriormente la politica monetaria.

A frenare la sua azione sarebbero le crescenti preoccupazioni sulle prospettive economiche dovute a diversi fattori: la volatilità dei mercati finanziari, il rallentamento della crescita globale e - non da ultimo - la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.

Tuttavia, Powell ha più volte ribadito che non si lascerà influenzare dalle pressioni politiche, ricordando l’indipendenza della Fed. Lo scorso gennaio, aveva anche annunciato che che non si sarebbe dimesso neanche se Trump glielo avesse ordinato.

I tassi di interesse applicati dalla Fed - lo ricordiamo - sono attualmente compresi in un range tra il 2,25% e il 2,50%.

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