Ecco perché Trump potrebbe tornare alla Casa Bianca

Felice Bianchini

11 Ottobre 2021 - 10:02

I dati sul sostegno all’economia di Usa e Ue per rispondere alla pandemia rischiano di aggravare una situazione da tempo scottante, che cavalcò Trump per insediarsi nel 2016. Ripercorriamo la storia.

Ecco perché Trump potrebbe tornare alla Casa Bianca

Tutti dicono di amare il commercio internazionale, la Globalizzazione; tutti, bene o male, si dichiarano liberoscambisti. Sono stati e vengono firmati svariati trattati di «libero scambio». Tuttavia, le belle parole spesso non coincidono con le linee politiche reali. Quando la realpolitik chiama, i presidenti - e i politici in generale - rispondono (quando capita).

È il caso di Obama, che nel 2009, durante il G20 che si svolse in Pennsylvania, rimproverò la Germania per via del suo ingente accumulo di surplus estero, il più alto al mondo dopo quello cinese. Tuttavia, in risposta alla crisi, la Cina stava portando avanti una politica economica di espansione della domanda interna, a differenza della Germania, che non ne voleva sapere di sostenerla.

Quando un paese sostiene e aumenta la propria domanda interna una parte di questo aumento si ripercuote sulle importazioni, dunque in positivo per i partner commerciali e il commercio internazionale. Soffocare o tenere ferma la domanda interna assume dunque l’aspetto di una politica cosiddetta "beggar-thy-neighbour”, in quanto riduce le importazioni. È per questo che, se un surplus può essere soddisfacente per chi esporta, non necessariamente lo è per chi importa, se non altro quando la condizione diventa strutturale, cioè se quel surplus, nel medio-lungo periodo, non si traduce in maggiori importazioni, se non viene speso da chi lo ha accumulato.

Chi è in surplus è come se avidamente tesaurizzasse ciò che guadagna con l’export. Ma così facendo non gode né chi lo tesaurizza, perché non spende ciò che ha guadagnato; né gli altri, perché non vendono - o vendono meno di quanto potrebbero - i loro prodotti. Se non interviene un accordo politico bilaterale o multilaterale, storicamente queste situazioni di squilibrio finiscono per causare politiche altrettanto «beggar-thy-neighbour», come quelle protezionistiche.

Il ruolo del commercio internazionale nell’ascesa di Trump

Uno dei temi che ha cavalcato l’ormai ex presidente Trump è stato proprio quello del commercio internazionale, rispolverando, nel 2017, le accuse che Obama aveva rivolto ai tedeschi nel 2009, allargandole alla Cina, che nel frattempo era cresciuta ancora di più, diventando in sostanza il paese fornitore del mondo. Gli Usa, dal canto loro, sono il paese cliente del mondo, con un deficit commerciale ampiamente strutturale, visto che va avanti circa dal 1975.

Basta guardare dietro il proprio iPhone, dove c’è scritto «designed by Apple in California, assembled in China», per capire di cosa si sta parlando. Dai primi anni 2000, in concomitanza con l’inizio di quella che chiamiamo Globalizzazione, la Cina è diventata parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), in un certo senso come premio per gli sforzi di conversione del Dragone all’economia di mercato. Le condizioni di lavoro - e di paga - cinesi l’hanno resa il paradiso per chi voleva ridurre i costi di produzione. Le delocalizzazioni produttive in Cina, come si diceva, sono diventate attraenti anche per giganti come Apple.

Trump ha fatto leva su quella classe di lavoratori che per via della Globalizzazione ha perso il lavoro. Ha imposto dazi sulla Cina e su alcuni prodotti Ue, millantando addirittura di voler far rientrare degli stabilimenti all’interno del territorio americano - e in generale di voler ridurre la dipendenza dall’estero, contabilizzata come deficit commerciale in termini di bilancio. Questo ragionamento, giusto o sbagliato che sia, è diventato parte integrante del famoso slogan «Make America Great Again».

Biden, il Covid e la nuova politica estera

In questo scenario, che ricordava la guerra fredda, è entrato a gamba tesa il Covid. Se da un lato non ha modificato più di tanto il clima di tensione politica, dall’altro ha aggravato, con le chiusure, le restrizioni e tutto ciò che abbiamo vissuto, la situazione economica. Nel novembre 2020, alle ultime elezioni presidenziali americane, è stato eletto Biden, ex vice-presidente di Obama, il quale si è contrapposto in maniera radicale a Trump.

Ciononostante, da un punto di vista della politica estera, non ha potuto e non può ignorare i dati e della situazione del commercio internazionale, non migliorata dalla pandemia. Il commercio mondiale ha subito una contrazione, ma sta ripartendo e ripartirà bene o male da dove si era fermato: Ue e Cina che inondano di merci gli Stati Uniti. Anche perché i dazi non hanno funzionato: il deficit statunitense è aumentato, contestualmente a un aumento delle esportazioni Ue.

In termini generali, Biden ha sostanzialmente mantenuto ferme, seppur in un certa misura edulcorate, le posizioni anti-cinesi di Trump, ma ha deciso di riallacciare i rapporti con la Germania e, dunque, con l’Ue, di cui Berlino è, come si suol dire, la locomotiva. Per ora, la situazione dei dazi è rimasta sostanzialmente invariata, se non fosse per un piccolo e irrilevante accordo di riduzione di tariffe sui prodotti alimentari siglato verso la fine del 2020, ancor prima dell’arrivo di Biden. Tuttavia, secondo alcune indiscrezioni di Bloomberg, entro la fine dell’anno dovrebbe avvenire un dietrofront per quanto riguarda le tariffe sull’acciaio, snodo cruciale degli scambi tra Usa e Ue.

I numeri del commercio Usa-Ue

Gli Stati Uniti sono, dietro alla Cina, il secondo partner commerciale dell’Ue, con un interscambio di 555.530 milioni di €. L’Ue importa 202.000 milioni di € di prodotti Usa, il secondo paese in classifica dopo la Cina da cui gli europei importano; mentre esporta 352.911 milioni di €, volume che fa degli Usa il primo paese verso cui esportal’Ue. Il saldo è un surplus di circa 150.000 milioni di €.

Primi 10 partner commerciali Ue 2020
Fonte: Commissione Europea

Questa situazione non è nuova. Se si prendono in considerazione i dati degli ultimi 10 anni quel che emerge è un surplus strutturale dell’Ue nei confronti degli Usa, che anzi tende ad aumentare, trainato soprattutto dalle esportazioni tedesche.

Bilancia commerciale UE 2010-2020
Fonte: Eurostat
Bilancia commerciale UE con principali partner 2010-2020
Fonte: Eurostat

Alla luce dei dati, è chiaro il perché dell’atteggiamento ambiguo dell’Ue: da un lato tende a conservare il rapporto con gli Stati Uniti, principale mercato di sbocco per le merci europee; dall’altro, strizza l’occhio a Pechino, da cui importa tanto e sempre di più negli ultimi anni (durante i quali si è parlato molto del progetto cinese della “Nuova via della seta”), trend che non ha rallentato neanche la pandemia.

Esportazioni Ue 2010-2020
Fonte: Eurostat
Importazioni Ue 2010-2020
Fonte: Eurostat

Con la Cina, almeno per ora, è solo un rapporto di portafoglio. In termini di facciata, l’ambiguità è molta meno: quando si tratta di fare dichiarazioni e comparse in pubblico di qualsiasi natura, soprattutto da quando c’è Biden a Washington, l’Ue, per mezzo dei suoi rappresentanti, si dichiara sempre in maniera convinta atlantista.

Le conseguenze delle risposte di Usa e Ue alla pandemia

Se una rinnovata compattezza del blocco atlantico/occidentale può piacere a qualcuno politicamente, perché apre a una collaborazione più stretta nel combattimento ai cambiamenti climatici e in chiave geopolitica anti-cinese, quel che può e deve preoccupare tutti è ciò che avverrà dopo che avranno portato i loro effetti le risposte economiche alla pandemia di Usa e Ue.

Angela Merkel, durante la conferenza stampa del suo ultimo - tale anche perché lascerà la cancelleria - incontro bilaterale in Italia, tenutosi il 7 ottobre, ha accennato all’importanza di far nascere gruppi europei che agiscano nel senso dell’aumento della competitività nel campo di’innovazione, ricerca e sviluppo, per esempio investendo nella produzione dei chip. In questo frangente, ha ricordato l’importanza dei piani Usa per i prossimi anni.

Gli Stati Uniti, nella persona di Biden, hanno dichiarato di voler spendere. Nei prossimi 10 anni la spesa pubblica degli Usa resterà stabilmente in doppia cifra in percentuale del Pil. L’Ue, dal canto suo, prospetta un ritorno alla disciplina di bilancio. Il Recovery Fund (lo strumento per rispondere alla pandemia e far ripartire la crescita, di cui l’Italia è il primo beneficiario), a prescindere della sua capacità di riportare la crescita nel vecchio continente, ammonta a 750 miliardi, spalmati su 6 anni (2021-2026): è circa 1/3 del piano Usa per le famiglie per il prossimo anno, che si aggira attorno ai 1.900 miliardi.

Se la domanda interna dell’Ue non seguirà la traiettoria di quella Usa, se cioè la quota di importazioni Usa, trainata dal sostegno alla domanda interna, continuerà ad aumentare e quella Ue ad aumentare poco, gli squilibri commerciali esistenti si aggraveranno, rischiando di causare nuove tensioni, simili o peggiori rispetto a quelle che hanno facilitato la corsa alla Casa Bianca di Donald Trump.

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