Continua la protesta di Libera e Giovane avvocatura: i praticanti chiedono alla Commissione europea di aprire una procedura d’infrazione contro il Ministro della Giustizia per riformare l’esame di abilitazione. I futuri avvocati non si arrendono.
La scia delle proteste dei praticanti avvocato non si è ancora fermata, anzi dalle manifestazioni in piazza si è passati all’ambito europeo: l’associazione Libera e Giovane avvocatura ha appena depositato una denuncia alla Commissione europea chiedendo di aprire una procedura d’infrazione contro l’Italia.
I motivi del ricorso sono la violazione di alcuni diritti imprescindibili degli aspiranti avvocato: disparità di trattamento, mancanza di trasparenza nella procedura di correzione, violazione del diritto al lavoro.
Quello che i praticanti vogliono dal Ministero della Giustizia è una riforma radicale dell’iter d’esame e di correzione delle prove, e una procedura “speciale” per coloro che hanno sostenuto lo scritto a dicembre 2019, vista l’eccezionalità della situazione creatasi con l’emergenza sanitaria.
Ciò che si chiede non è un esame semplificato, ma una procedura conforme agli standard europei dove non sia negato il diritto al ricorso in caso di bocciatura; ricordiamo, infatti, che al momento le Commissioni esaminatrici non sono tenute a motivare l’attribuzione del punteggio e lo stesso Alfonso Bonafede, Ministro della Giustizia, ha affermato che l’esame di abilitazione spesso presenta “esiti causali” e “non sempre rispondenti agli effettivi meriti degli aspiranti avvocati”.
I praticanti avvocato arrivano dinanzi alla Commissione europea
L’associazione Libera e Giovane avvocatura, dopo diversi tentativi di sollecitare il Ministero della Giustizia, ha chiesto aiuto alla Commissione europea, spiegando come e perché le modalità di esame devono essere rivoluzionate.
Troppe le ombre sulla correzione degli elaborati, cosa che ogni anno getta i partecipanti in un vero e proprio “oblio”: le Commissioni esaminatrici non motivano i punteggi attribuiti (e secondo le Autorità non sono obbligate a farlo) ed è impossibile conoscere i voti dei singoli commissari.
Inoltre vincere il ricorso contro la bocciatura diventa di anno in anno sempre più difficile a causa del continuo restringimento dei motivi di doglianza ammessi.
Così si legge nella denuncia presentata alla Commissione Ue:
“Se si considera che le commissioni valutatrici sono composte nella maggior parte dei casi da avvocati, che sono nominati dal Consiglio Nazionale Forense e che costituiscono vere e proprie imprese, pare opportuno ritenere che tali pratiche si prestino a una palese lesione della libera concorrenza, in particolare per quanto attiene:
- l’attuazione dell’art. 101, lett. b) del TFUE, che espressamente sancisce che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel […] limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti.”
Quello che i partecipanti avvocato pretendono è una selezione trasparente e meritocratica che rispetti il principi di parità di trattamento e non discriminazione, in particolare:
- la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, resa operativa in Italia con art. 15, c. 1, lett. d) del d.l. 59/2010, che espressamente stabilisce che “ove sia previsto un regime autorizzatorio [per l’accesso al mercato, si parla in questo caso delle cd. “professioni vigilate”], le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi sono [...] chiare ed inequivocabili”.
- la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno, in particolare delle disposizioni di cui agli artt. 15 par. 2 e 15 par. 3 sotto il profilo della proporzionalità e la non discriminazione per l’accesso alla professione.
Violazioni che, alla luce delle nuove modalità di correzione degli elaborati imposte dal coronavirus, potrebbero addirittura aggravarsi. Infatti l’articolo 254 del decreto legge 34/2020 (decreto Rilancio) prevede che:
“su richiesta motivata dei presidenti delle sottocommissioni del distretto di Corte d’appello il presidente della commissione centrale può autorizzare la correzione da remoto degli elaborati scritti, purché siano mantenuti i medesimi criteri di correzione già adottati dalle commissioni d’esame. Ove si proceda ai sensi del periodo precedente, i presidenti delle sottocommissioni per l’esame di abilitazione alla professione di avvocato fissano il calendario delle sedute, stabiliscono le modalità telematiche con le quali effettuare il collegamento a distanza e dettano le disposizioni organizzative volte a garantire la trasparenza, la collegialità, la correttezza e la riservatezza delle sedute”.
Da qui - stando alle considerazioni dell’associazione ricorrente - si evince la “mancanza di qualsiasi riferimento alla motivazione della valutazione numerica delle prove scritte o alla possibilità di verificare l’operato delle commissioni esaminatrici, ciascuna delle quali gode di ampia discrezionalità nello stabilire le proprie disposizioni organizzative.”
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Argomenti