L’evoluzione di CEO e C-Level in storyteller con Andrea Fontana

Lo storytelling è diventato sempre più presente nella vita quotidiana di tutti, al punto che anche la leadership ha dovuto farci i conti. Ne abbiamo parlato con Andrea Fontana.

La narrazione ha da sempre svolto un ruolo centrale e fondamentale nella vita dell’uomo. Lo storytelling, ossia l’arte di raccontare storie, non è di certo una invenzione dei nostri tempi.

Gli aedi, nell’antica Grecia, erano coloro che per professione raccontavano storie, o meglio le cantavano. La narrazione è parte integrante della vita dell’uomo e sarebbe impossibile farne a meno.

In fondo siamo tutti storyteller: quando chiamiamo gli amici per raccontargli un avvenimento particolare della nostra giornata, quando ci presentiamo a una persona che non conosciamo o quando dobbiamo semplicemente descriverci in poche parole. Ognuno in quel preciso momento racconta una storia, condita con più o meno realismo L’uomo nasce narratore e non può fare a meno di questa sua caratteristica. Le storie servono a dare un senso al tempo.

Negli ultimi anni la narrazione, o meglio lo storytelling, ha aumentato la sua pervasività grazie all’utilizzo della cross-medialità. Le storie ci circondano e sono sempre con noi sia quando siamo i protagonisti sia quando ascoltiamo quelle degli altri, aziende comprese, sui social, in TV oppure ancora alla radio. Il mondo si è plasmato intorno alle storie e anche la leadership ha dovuto fare i conti con un nuovo modello, più lontano dal capo autoritario e più vicino a una gestione empatica, avvicinandosi sempre di più al soft power e dimenticando l’hard.

Ne abbiamo parlato con Andrea Fontana, Sociologo della comunicazione e dei media narrativi. Presidente di Storyfactory, Docente “Corporate Storytelling” Università Pavia e Premio Curcio alla cultura 2015 e alla Divulgazione Scientifica nazionale 2019 nelle scienze sociali.

CEO e C-Level stanno evolvendo in storyteller e motivatori. Perché?

CEO e C-Level stanno evolvendosi sempre di più in motivatori perché sta cambiando la leadership, stanno cambiando i modelli di leadership in modo molto importante e cioè a nessuno piace più il leader forte, aggressivo o violento, anzi questo soprattutto per le giovani generazioni è considerato un disvalore, e quindi le leadership si ritrovano loro malgrado oggi a dover avere una leadership più inclusiva, più sostenibile più empatica.

E questo è un grandissimo passaggio all’interno delle organizzazioni che hanno tante generazioni dai Boomer, ai Millennial, agli Gen Z passando per la Gen X, e nelle organizzazioni oggi c’è questo grande confronto tra i diversi stili di leadership che stanno sempre più andando o stanno cercando sempre di andare di più verso una leadership inclusiva.

Che rinuncia alla paura, rinuncia alla violenza, agli stili aggressivi delle leadership del ’900 per cercare di avere una leadership che raggiunge gli obiettivi, naturalmente, ma che dialoga e ascolta molto di più.

Che ruolo giocano i dipendenti nell’organismo azienda?

Oggi i dipendenti giocano un ruolo fondamentale. Tutte le persone che vivono in un’organizzazione sono preziose, perché fanno parte del racconto aziendale, sono un asset e fanno parte sia del racconto aziendale interno e ovviamente dei team interni, che in questo modo si confrontano e lavorano insieme, ma soprattutto hanno un ruolo importantissimo nella comunicazione esterna.

Oggi comunicano non solo i top manager, ma comunicano i manager, i professional attraverso i diversi profili social, diciamo così, e non soltanto.

Addirittura molte aziende si stanno organizzando per avere pratiche definite di social ambassadorship, cioè situazioni in cui le diverse categorie di professionisti che lavorano all’interno di un’azienda si raccontano e portano avanti, sia singolarmente sia a nome del brand di cui fanno parte, grandi temi sociali.

Questa è una tendenza, un aspetto molto importante che ha degli impatti molto rilevanti sui mercati, per esempio sugli stakeholders, che apprezzano molto attività di questo tipo, e che naturalmente però va organizzata, non può essere improvvisata.

Le organizzazioni migliori in questo senso costruiscono un piano editoriale, definiscono le persone che devono raccontare l’organizzazione sia internamente che esternamente e definiscono addirittura un sistema di personaggi, una sorta di sistema archetipale che poi deve essere portato ai pubblici esterni o agli stakeholders per coinvolgerli sempre di più, e soprattutto per motivare e spiegare meglio quello che sta facendo l’organizzazione all’interno del contesto sociale.

Come cambia il percepito da parte degli stakeholders?

Il percepito da parte degli stakeholders sta molto cambiando verso le organizzazioni, perché tutti siamo stakeholders, chi più chi meno, dai consumatori ordinari all’ultima banca d’investimenti e il tema è che le organizzazioni sanno che oggi devono includere gli stakeholders esterni nel loro racconto.

E questo perché soltanto se coinvolgiamo i portatori d’interessi in quello che stiamo facendo possono diventare veramente parte delle nostre attività, dei nostri servizi e prodotti, del nostro mondo di brand in senso lato. E questo è un altro processo in corso molto importante perché non c’è più una divisione tra stakeholders esterni e interni, e si tenta sempre di più di avere il mondo esterno dentro casa, diciamo così.

Questo diventa rilevante anche in considerazione del fatto che lo stakeholder esterno, oggi, è attentissimo ai grandi temi della sostenibilità dell’inclusion, della diversity e a tutta una serie di tematiche sociali che l’organizzazione o l’azienda deve saper raccontare e deve saper portare agli stakeholder stessi.

Quindi soltanto ascoltando gli stakeholders e incorporandoli nel proprio mondo, si può creare questa connessione molto più sostenibile di un tempo.

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