Dal 15 ottobre, 3,5 milioni di lavoratori senza green pass rischiano stipendio (e posto). L’alternativa, pagarsi il tampone ogni 48 ore. Sono un sesto degli occupati totali: eccolo il vero allarme
La strategia è partita lenta. Usando una formula da gergo quotidiano, l’hanno presa larga. Prima lo scandalo boccaccesco del guru mediatico di Matteo Salvini, coinvolto in una storiaccia tanto torbida quanto sospetta di sesso a pagamento e droga.
Poi, il piatto forte. A due giorni dal voto amministrativo, una bella inchiesta su Fratelli d’Italia e le sue collusioni pericolose con la destra estrema, fascista e un po’ eversiva milanese, condita oltretutto da accuse di finanziamento illecito e riciclaggio di denaro. E ancora, un vecchio scivolone antisemita del candidato di centrodestra alle comunali di Roma, scovato dal Manifesto con tempismo da veri segugi. Infine, l’assalto alla sede della Cgil. Roba da squadracce, clima da 1921.
Signore e signori, il Covid può andare in pensione: il fascismo è ufficialmente la nuova emergenza del Paese. Basta sentire e leggere le dichiarazioni della pressoché totalità della politica: praticamente, siamo alle soglie di un crinale storico che potrebbe non avere un ritorno. Si invocano pugni di ferro, scioglimenti di formazioni politiche, abiure pubbliche e capi cosparsi di cenere a reti unificate. Intendiamoci, tanto per sgombrare il campo da equivoci: in 25 anni che faccio questo lavoro, ho ricevuto soltanto tre querele. Una era da parte di Roberto Fiore, fondatore di Forza Nuova. Così, giusto per dare un’idea della simpatia che posso nutrire verso quel movimento.
Detto questo, dipingerlo come le nuove SA pronte a marciare lungo i viali di Berlino, mentre un presidente Mattarella in versione Von Hindenburg guarda sconsolato dalle finestre del Quirinale la Storia fare il suo tragico corso, appare ridicolo. E insultante verso la realtà. Questo Paese e il suo apparato repressivo e di intelligence hanno sconfitto Brigate Rosse, Prima Linea e Nar, fra gli altri. E in anni in cui ogni weekend le strade reclamavano morti e nelle piazze e sui treni esplodevano bombe: pensate che non riescano a controllare Forza Nuova e qualche centinaio di esagitati da stadio? Per favore. Detto fatto, arrestati i due leader nella notte e decapitato il movimento. Non esattamente una ramificazione da Spectre, più che altro un’eversione da film di Woody Allen.
Certo, la rabbia esiste. E il rischio che qualcuno la cavalchi, strumentalizzandola, c’è. Eccome, se c’è. E infatti, più che il 6 gennaio con l’assalto al Congresso, quanto accaduto a Roma ha ricordato il 20 luglio 2001 a Genova, il secondo giorno delle proteste del G8: Black Bloc tranquillamente in grado di accendere la miccia in città e poi il caos totale. Il tritatutto. E, soprattutto, l’evento catalizzatore: da quel momento, qualunque rivendicazione o istanza giusta e condivisibile arrivasse dalla piazza, automaticamente veniva annichilita dalle violenze e derubricata a benzina che aveva alimentato il fuoco.
E in questo caso, quale è stata la vittima reale del Black Saturday italiano? Il drammatico monito del governatore del Veneto, Luca Zaia, al governo: attenzione, se non si trova una soluzione di mediazione sulla questione dei tamponi, quantomeno allungandone la validità delle attuali 48 a 72 ore, dal 15 ottobre molte fabbriche dell’area più produttiva e ricca del Paese rischiano di andare in sofferenza causa mancanza di personale. Insomma, un problema reale.
Drammaticamente reale in un Paese che sta in piedi solo grazie alla Bce, che già sconta ritardi sulla ripartizione dei fondi del Pnrr e che, soprattutto, sta cullandosi con eccessivo ottimismo su un outlook di crescita di stampo cinese. Oltretutto, basandolo quasi unicamente sul potere taumaturgico del vaccino, anzitutto a livello di produttività della Pubblica Amministrazione, ora che si tornerà totalmente in presenza.
E quale è stata la risposta del governo a quel monito, proprio mentre la sede della Cgil veniva attaccata e le strade di Roma schiumavano rabbia? Emanare ufficialmente le linee guida attuative per il green pass nel pubblico impiego. Di fatto, chiusura totale verso la mediazione invocata da Luca Zaia e sostenuta dal collega friulano, quel Massimiliano Fedriga presidente anche della Conferenza delle Regioni. E i numeri parlano chiaro: i lavoratori senza green pass e costretti a ricorrere al tampone (a loro spese) ogni 48 ore in Italia sono 3,5 milioni. Stando a dati Istat di agosto, ultimo dato disponibile in attesa dell’aggiornamento previsto per il 3 novembre, gli occupati totali sono 22.783.000. Dunque, circa un sesto di lavoratori regolari del nostro Paese è a rischio di perdere potenzialmente prima lo stipendio e infine anche il posto.
Davvero di fronte a una prospettiva simile, distante da noi soltanto cinque giorni e non cinque mesi o trimestri, l’Italia, il suo governo e le forze politiche che ne compongono la maggioranza possono permettersi il lusso di trastullarsi con l’emergenza fascismo? O forse, qualcuno nutre e insegue segretamente il piano parallelo di una ristrutturazione del sistema produttivo con l’alibi del green pass, un enorme reset cui nemmeno i sindacati appaiono più opporsi, stante la linea pro-vaccino obbligatorio sposata proprio dalla Cgil? La violenza va sempre condannata, senza se e senza alcun ma.
Ma anche la realtà va preservata dall’assalto barbarico della narrativa ideologica e strumentale: se il primo problema del Paese fosse Forza Nuova, allora potremmo brindare. Anzi, dovremmo. Ma non lo è. Magari lo fosse. Il nostro spread fisso sopra quota 100, nonostante una Bce ormai totalmente fuori controllo e in trend da deriva giapponese parla chiaro. Chiarissimo. Davvero possiamo permetterci di giocare a dadi con un sesto della forza lavoro, entro la fine di questa settimana?
Davvero l’allarme delle istituzioni per la tenuta democratica dello Stato è così incombente da non farci rendere conto che se 3,5 milioni di persone, cui fanno capo altrettante famiglie, resteranno senza stipendio (con oltre 70 crisi aziendali già sul tavolo dei ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico), per le strade avremo problemi ben più seri di quattro energumeni tatuati e brandenti tricolori?
Non fosse altro per le dinamiche inflattive ormai ben lungi dall’essere derubricabili come transitorie, tanto da aver costretto il governo a un intervento emergenziale contro il caro-energia. Si sta davvero scherzando con il fuoco. Un po’ come avvenne al Reichstag, d’altronde. O, forse, dobbiamo davvero cominciare a pensare che il prolungamento delle stato di emergenza al 31 dicembre non fosse finalizzato unicamente al mantenimento delle proroghe operative del generale Figliuolo?
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