Richard Clarida pare destinato alle dimissioni, a pochi giorni dall’addio per il medesimo motivo dei falchi Kaplan e Rosengren. Board nel caos. Qualcuno cerca una cortina fumogena per l’inflazione?
Un terremoto. Dopo lo scandalo relativo al trading informato che è costato le dimissioni ai numeri uno delle filiali di Dallas e Boston della Fed, Robert Kaplan e Eric Rosengren, oggi l’asticella dell’indignazione verso la Banca centrale Usa si è ulteriormente alzata. Sfiorando il livello più alto in assoluto.
L’Office of Government Ethics statunitense, infatti, ha reso noto quanto mostrato in questa form:
il 27 febbraio del 2020, qualcuno ha spostato una cifra variabile fra 1 e 5 milioni di dollari da un fondo obbligazionario di Pimco (PIMIX) in uno azionario (PSTKX). Dove sarebbe lo scandalo? Quel qualcuno risponde al nome di Richard Clarida, vice presidente della Fed. E non basta. La mossa è stata compiuta il giorno precedente al comunicato con cui Jerome Powell, di fatto, annunciava la discesa in campo a contrasto della pandemia con politiche espansive. Questi due grafici
mettono la situazione in prospettiiva, rendendo superfluo qualsiasi altro commento. Di fatto, Richard Clarida ha operato in regime di insider trading. Al massimo livello.
Date per scontate le sue dimissioni nei giorni prossimi, ecco che questo schema
mostra come nell’arco di dieci giorni il Comitato monetario della Fed abbia visto saltare due falchi acclarati e il vice-presidente centrista. Calcolando che Jerome Powell ancora attende la conferma ufficiale per un secondo mandato dal prossimo febbraio, già prospettato in maniera ufficiale da Janet Yellen che dove statutariamente proporlo alla Casa Bianca, appare chiaro come gli equilibri in seno al board ora si muovano verso un’enorme cautela. E, nemmeno a dirlo, in punta di damnatio memoriae del periodo appena concluso: la Fed è pronta a scaricare le colpe del disastro compiuto nell’ultimo anno e mezzo sul mal comportamento dei suoi scomodi ed eminenti membri ormai in uscita? Quasi certo.
Un’operazione che sembra pianificata a tavolino. Sembra, ovviamente. Il tutto, in pieno periodo di discussione sul tapering da annunciare al board del 2-3 novembre. O, magari, rimandare ancora. Perché i numeri del Covid fanno rumore negli Usa: superata quota 700.000 morti e con il tasso di vaccinazioni sideralmente lontano dall’immunità di gregge che Joe Biden aveva promesso per festeggiare degnamente il 4 luglio (forse intendeva quello del 2022). Ma la Fed ha un problema più serio dello scale back degli stimoli, oggi come oggi. Lo confermano due dati. Primo, lo stesso Jerome Powell ha archiviato il mantra della transitorietà rispetto all’inflazione e nel corso del suo intervento di mercoledì scorso a un incontro organizzato dalla Bce ha definito l’attuale pressione sui prezzi frustrante, ammettendo come appaia ormai ineluttabile un prolungamento di questo trend per buona parte del prossimo anno.
Secondo, lo mostra questa immagine:
è il comunicato con cui la catena di negozi «tutto a un dollaro» Dollar Tree rendeva nota l’introduzione di prodotti in vendita a prezzi superiori a quel cap in alcuni punti vendita selezionati. Ufficialmente, un test di marketing. Ufficiosamente, la prova più drammatica dell’avvenuto trasferimento dei costi sulla filiera. E non nell’alta gamma o nella grande distribuzione come Walmart, bensì in negozi dove ci si reca nella certezza di trovare tutto al massimo a 1 dollaro di costo. Missione compiuta, cara Fed. E attenzione, perché il giorno del giudizio anche per la Bce non tarderà troppo, stante gli scioperi per gli aumenti salariali a copertura del’inflazione già annunciati in Germania dal potente sindacato metalmeccanico IG Metall. D’altronde, era transitoria.
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