Nonostante le promesse di Draghi riguardo gli investimenti, la spesa per la scuola scende di mezzo punto nel Pil. Vediamo perché.
Il testo del Documento di economia e finanza 2022 è pubblico sul sito del Tesoro e una nota significativa ha creato molto disappunto nel mondo della scuola. Gli interessati, infatti, hanno subito notato che gli investimenti promessi dal governo Draghi non sono stati rispettati e che la spesa per la scuola, nell’arco temporale 2022-2025 è stata ridotta di mezzo punto di Pil.
È ciò che emerge nel Def presentato il 6 aprile: dopo le spese d’emergenza per il Covid del biennio 2020-2022 si tornerà rapidamente al business as usual.
La motivazione data da Draghi è da ricercare nel calo demografico, ma sono molti i sindacati che si sono dichiarati contrari a tale misura del governo: la riduzione della popolazione scolastica avrebbe dovuto suggerire altre misure, come ad esempio la riduzione delle classi pollaio o un aumento stipendiale a fronte di un fabbisogno di un numero inferiore d’insegnanti.
Perché il governo Draghi riduce le spese per la scuola?
La spesa per la scuola è destinata inevitabilmente a diminuire: è scritto a chiare lettere nel Documento di Economia e Finanza predisposto nel pomeriggio del 6 aprile dal Consiglio dei Ministri.
Secondo il Ministero dell’Economia, tale scelta è obbligata. Nella bozza del documento si legge:
“Da tempo le proiezioni ufficiali evidenziano una tendenza generalmente comune, anche se con intensità diverse nei paesi dell’Unione Europea, a un rapido invecchiamento della popolazione. Ciò comporta, in primo luogo, una riduzione significativa della popolazione attiva e un maggiore carico su di essa delle spese di natura sociale.”
La motivazione secondo Draghi, quindi, è da ricercare nel calo demografico: nel futuro aumenteranno i costi dei sistemi pensionistici e dell’assistenza sanitaria, ed è su questi che - per ora - si sta concentrando il sistema d’investimenti.
La tabella relativa alle previsioni di spesa per i prossimi decenni è però molto scoraggiante: nel 2020 la spesa per l’istruzione è stata pari al 4% del totale, ma scenderà al 3,5% nel 2025 per mantenersi intorno al 3,4-3,5% negli anni successivi.
Quel che è peggio è che questo scenario potrebbe peggiorare se il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione dovessero aumentare ulteriormente.
Che cosa succederà da qui al 2025?
Nonostante le previsioni di Draghi, si fa fatica a pensare che nel 2025, data di entrata in vigore della misura riduttiva, ci sarà un calo del 25% degli studenti. E se la spesa per la scuola, nell’arco temporale del Def 2022-2025, si vede ridotta di mezzo punto di Pil, come potranno attivarsi le transizioni ecologiche, tecnologiche e digitali con risorse che cambiano importi e destinazione? È stato il commento a caldo del segretario generale della Uil Scuola, Pino Turi, che continua:
“La musica è sempre la stessa, scritta sullo spartito del neoliberismo che pensavamo, a torto, avesse mostrato tutti i suoi limiti dopo la pandemia e la guerra.”
Il dato più preoccupante, inoltre, è che non è previsto che la spesa salga nemmeno nei prossimi decenni (anche se rispetto a settembre tra 2030 e 2040 ci sono un paio di decimali in più, sempre in rapporto al Pil, rispetto all’analoga tabella del settembre 2021).
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