Grazie al PVI, Partisan Voter Index, gli USA misurano la ‘polarizzazione’

Glauco Maggi

26 Ottobre 2021 - 07:21

Quanto è rossa e quanto è blu l’America, oggi a metà strada tra il voto presidenziale del novembre 2020 e le elezioni di medio termine?

Grazie al PVI, Partisan Voter Index, gli USA misurano la ‘polarizzazione’

Quanto è rossa e quanto è blu l’America, oggi a metà strada tra il voto presidenziale del novembre 2020 e le elezioni di medio termine che nel novembre 2022 rinnoveranno l’intera Camera e un terzo del Senato?

Il rosso è il colore dei Repubblicani e il blu dei Democratici, e si usa dire “Stati rossi” e “Stati blu”, e “distretti rossi” e “distretti blu”, per indicare l’orientamento politico degli elettori nelle diverse zone dell’America. Ognuno dei 435 distretti nazionali in cui è suddivisa la popolazione su base proporzionale esprime - ogni due anni - il proprio deputato (“representative”) per la Camera (“House”), mentre ognuno dei 50 Stati esprime comunque due senatori per il Senato, a prescindere dal numero degli abitanti dello Stato (i senatori restano in carica 6 anni).

Il presidente degli Stati Uniti, infine, viene votato ogni 4 anni da un Collegio unico di Grandi Elettori, a loro volta designati Stato per Stato su base maggioritaria.

La colorazione politica della nazione è il prodotto dell’umore dei votanti, e quindi varia ovviamente a posteriori da elezione a elezione. La sfida del Cook Political Report (CPR), ente privato che da oltre 35 anni monitora gli andamenti ai seggi, è di anticipare che cosa succederà al prossimo turno basandosi sul passato reale, con un approccio oggettivo, il più possibile scientifico.

Se lo strumento più noto e diffuso nel business delle previsioni sono i sondaggi di opinione, tanti e diversi fra loro al punto che i commentatori si affidano poi, di solito, alla media delle rilevazioni curata da RCP (Real Clear politics), gli strateghi e gli attivisti dei partiti e gli stessi candidati hanno un occhio di riguardo per il Cook Political Report, e in particolare per il Cook PVI, o Partisan Voter Index, creato nel 1997.

Come funziona il Partisan Voter Index

Questo “indice della partigianeria” misura la performance di un partito distretto per distretto in occasione di due voti presidenziali precedenti, confrontata con la performance della intera nazione.

Per esempio, un punteggio di D+10 (D sta per Democratici) in un certo distretto nel rapporto Cook PVI rilasciato nel corso del 2021 significa che i Democratici in quel distretto hanno avuto un risultato medio di 10 punti più alto della media dei due precedenti turni elettorali presidenziali del 2016 e del 2020. Un punteggio di R+4 (R sta per Repubblicani) indica, invece, che in un certo distretto sono stati i Repubblicani a superare di 4 punti la media dei voti presidenziali.

I tecnici del Cook Report, sulla base dell’ampiezza del vantaggio registrato, definiscono un distretto “tendenzialmente” destinato alla vittoria dei DEM (o del GOP), oppure “probabile”, termine che suggerisce una chance maggiore, vicina alla certezza. Se in un distretto la performance non supera il mezzo punto percentuale di vantaggio sul dato di confronto, gli analisti del Cook Report assegnano un giudizio di parità.

Nel gergo usato dai commentatori politici, poi, i distretti e gli Stati che non arrivano ai 5 punti di vantaggio per uno dei due partiti vengono definiti ‘swing states’, stati fluttuanti, cioè aperti a ogni esito.

Nell’ultimo Rapporto, il terzo distretto della Pennsylvania ha riportato il massimo voto pro DEM in America, con un PVI di D+41, mentre il quarto distretto dell’Alabama è stato il più repubblicano con R+34.

Sono le punte della polarizzazione a livello partitico tra i due elettorati, ma è sbagliato considerare la divisione a livello partitico la sola causa della inefficienza del Congresso a legiferare, giudizio su cui concorda la maggioranza degli americani. Per il sondaggio di ottobre di you.Gov, infatti, soltanto il 15,8% degli elettori approva il lavoro del Congresso, contro il 62% che lo boccia (il resto si astiene).

La radicalizzazione nella politica americana è sotto gli occhi di tutti, oggi, nella battaglia tra i progressisti-socialisti e i centristi-moderati all’interno dei DEM sui voti intrecciati e conflittuali tra Camera e Senato a proposito dei due piani economici di Biden (1,2 trilioni di dollari per le infrastrutture, più 3,5 trilioni - di partenza - per il welfare sociale e l’agenda verde anti-fossili). Non è una guerra tra i due partiti, dunque, ma intestina in quello Democratico.

Il bipartitismo USA, in altri termini, fa sempre più fatica ad assorbire la stratificazione ideologica crescente. Si era visto nel 2009-2010 con il fenomeno dei Tea Party, patrioti e fiscalisti rigorosi che guadagnarono spazio e influenza all’interno del GOP. A scatenarli furono il neo eletto Obama che aveva spinto l’acceleratore verso sinistra imponendo la riforma della Salute (Obamacare), e l’establishment politico-bancario - Repubblicani compresi - che si era coagulato attorno ai salvataggi delle banche dopo la recessione generata dai mutui subprime.

Nei tempi recenti, l’opposizione a Trump ha alimentato una “resistenza” liberal che si è tradotta in una generazione di Democratici di sinistra, che si definiscono socialisti, in distretti fedelmente Blu.

È un trend bene evidenziato dall’indice della partigianeria di Cook. Alla sua creazione, nel 1997, i distretti che avevano un partito con meno di 5 punti di vantaggio sull’altro erano 164. Adesso sono più che dimezzati, a quota 78. Significa due cose. La prima è che si è ristretta l’area della incertezza del risultato elettorale nel Paese, ma dove c’è meno incertezza c’è minore spazio per il compromesso politico. La seconda, correlata, è che sono sempre più numerosi i candidati a una carica in Congresso che non devono fare appello al pubblico generale per vincere, ma possono affidarsi interamente alla base fidelizzata. Non solo viene meno l’esigenza di offrire soluzioni “comuni”, valide anche per chi sia ideologicamente neutro o distante.

Anzi. Quando uno sa che per vincere deve soddisfare, e gli basta, la propria base rigida ed estremista, non ha certo interesse ad avventurarsi su un terreno diverso.

A rafforzare questo approccio c’è il meccanismo della re-definizione dei confini geografici dei distretti, che avviene dopo ogni Censimento decennale. Siccome il calo o l’aumento dei residenti in un certo Stato può diminuire o aumentare il numero dei distretti, e quindi dei deputati, l’operazione di adeguamento ha valenza politica diretta. Sono i governatori e i parlamenti di ogni Stato ad avere il potere di ridisegnare i propri distretti, e lo usano, ovviamente, avendo bene in mente l’obiettivo di creare “elettorati” favorevoli al proprio partito.

La concorrenza di questi fattori ha esasperato i toni della sfida tra DEM e GOP, e il “centro politico” ha perso peso. L’impatto della tendenza è palese nella composizione del Congresso di Washinghton, dove si vedono i risultati dei distretti radicalizzati.

Alexandria Ocasio-Cortez è stata eletta in un distretto di New York di fatto monopartitico. La deputata Pramila Jayapal dello stato di Washington, che è ora a capo del gruppo Progressista (cioè socialista) della Camera, viene da un distretto che ha votato i due recenti candidati DEM alla presidenza con un vantaggio di 36 punti sulla media nazionale.

I 4 membri della “Squadra”, il gruppo dei giovani socialisti progressisti della citata Cortez, provengono da distretti che hanno votato Democratico da 25 a 35 punti in più rispetto al Paese nel suo insieme. Il gruppo Progressista conta 95 membri, mentre solo 58 deputati Democratici sono stati eletti nei distretti “swing”. In altre parole, i Democratici hanno un pugno di deputati in più del GOP alla Camera (220 contro 212 Repubblicani), ma in quella ristretta maggioranza i progressisti hanno un potere mai avuto prima.

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