Il debito pubblico è un peso per le future generazioni? No, lo è per quelle presenti!

Michele Ciccone

28 Ottobre 2013 - 16:28

Il debito pubblico è un macigno sulle spalle delle generazioni future? Secondo le opinioni prevalenti si, nella misura in cui i figli dovranno far fronte al carico fiscale per pagare gli interessi a favore dei propri padri. Questo articolo vuole smentire simili idee, mettendo in luce come in realtà il conflitto distributivo si gioca tutto all’interno della stessa generazione.

Il debito pubblico è un peso per le future generazioni? No, lo è per quelle presenti!

Circa un anno fa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scriveva in un intervento una frase che definire lapidaria è quanto meno riduttivo:

Non possiamo lasciare il peso di un abnorme debito pubblico sulle spalle delle generazioni future senza macchiarci di una vera e propria colpa storica e morale

Parole dure, quasi profetiche, che fungono da monito ed avvertimento, nel tipico stile teatrale del Presidente. Guai a far ricadere sulle spalle dei nostri figli e nipoti il macigno del debito: la Storia non ce lo perdonerebbe e con essa il senso morale ed etico presente in ciascuno di noi.

Come potremmo più dormire sonni tranquilli pensando alle fatiche e ai sacrifici che i nostri eredi dovranno sopportare per pagare i privilegi di cui oggi così (allegramente) beneficiamo? Ovvero, perchè lasciare che i nostri figli (e i figli dei figli, ecc..) paghino le imposte per coprire il «buco» di bilancio causato dagli interessi che noi oggi percepiamo?

Tali affermazioni, che lo stesso Presidente ha più volte ribadito nel corso di interventi e conferenze, sono in realtà comuni a gran parte dell’opinione pubblica e dell’ intellighenzia del nostro paese. Esse sottolineano l’aspetto conflittuale del rapporto tra generazioni diverse in tema di debito pubblico. Una lotta tra padri e figli, in cui i secondi ne escono inevitabilmente sconfitti.

Dobbiamo però riconoscere (si potrebbe dire «con viva e vibrante soddisfazione!», ma non lo diremo) che un tale modo di pensare è in realtà sbagliato; esso non coglie la vera essenza di quello che è il conflitto distributivo derivante dal pagamento degli interessi, un conflitto interamente confinato all’interno della medesima generazione.

Quale conflitto?

Negli articoli Cos’è il debito pubblico? Una panoramica per orientarsi e Debito pubblico collocato all’estero: c’è differenza tra creditori nazionali e internazionali? si è già in parte accennato l’argomento mostrando come, a prescindere dal collocamento dei titoli di Stato (ossia all’interno o all’esterno dei confini nazionali), quello che emerge è un conflitto tra detentori di titoli e pagatori di imposte tutto interno alla medesima generazione.

Sappiamo infatti che il debito pubblico è un debito del settore pubblico nei confronti del settore privato; il settore privato è quindi creditore dello Stato. In quanto creditore, il settore privato ha diritto di ricevere periodicamente degli interessi sui titoli sottoscritti e,alla scadenza di questi, il valore di rimborso dei titoli medesimi.

Sappiamo anche che la regola aurea della finanza pubblica (di cui abbiamo parlato in un articolo qui) impone che, ai fini della stabilizzazione o dell’abbattimento del debito pubblico, quindi in un contesto in cui si ritiene che vi siano dei limiti all’espansione del debito pubblico, lo Stato debba realizzare avanzi primari di bilancio, pagando gli interessi sui titoli con le entrate tributarie (le imposte).

Vi sono allora due categorie di soggetti: i percettori di interessi e i pagatori di imposte.
E’ ovvio che anche i percettori di interessi pagano le imposte (almeno in linea di principio), ma non tutti i pagatori di imposte sono percettori di interessi. Allora quello che sorge è un conflitto tra queste due categorie di soggetti all’interno della stessa generazione.

I percettori di interessi, infatti, (i detentori di titoli pubblici) trasferiranno ai loro eredi della generazione successiva i titoli in loro possesso e, quindi, anche il diritto di ricevere gli interessi. La generazione successiva riceverà però anche l’onere di pagare gli interessi mediante l’imposizione fiscale. Dal punto di vista della nuova generazione, quindi, nulla è cambiato: il beneficio derivante dagli interessi viene compensato dal costo che deve essere sostenuto per pagare quegli interessi, all’interno della medesima generazione.

Un conflitto tra chi?

Del valore totale di titoli pubblici emessi dallo Stato italiano nel 2011 (corrispondente a quasi 1500 miliardi di euro), secondo il primo dei grafici qui sotto (dati Banca D’Italia), circa 630 miliardi sono in mano al resto del mondo (in prevalenza istituzioni finanziarie estere), al secondo posto troviamo gli intermediari finanziari nazionali (banche + altri intermediari) con pressapoco 313 miliardi e all’ultimo posto le famiglie con 162 miliardi.

In termini percentuali, come è possibile notare nel secondo grafico qui sotto, il resto del mondo detiene circa il 43% del totale dei titoli di stato emessi, le banche italiane il 21% e le famiglie raggiungono a stento l’11%.

Il conflitto distributivo (che, ribadiamo, è lo stesso sia che i titoli siano emessi all’interno che all’estero) si gioca quindi tutto tra istituti di credito, detentori tra Italia e estero della quota maggioritaria di titoli pubblici italiani, e le famiglie, detentrici della quota di «minoranza».

Come risolvere il conflitto? Solo le misure di politica fiscale, in particolare di redistribuzione del reddito attraverso l’imposizione fiscale, possono indirizzare (a favore dell’uno o l’altro gruppo di soggetti) l’orientamento della disputa. La questione, quindi, non è, a nostro avviso, da impostare secondo l’idea di fondo «il debito pubblico è un problema», bensì: in che modo la politica fiscale può risolvere il conflitto distributivo a favore delle classi più deboli, sulle quali pesa già un carico fiscale decisamente elevato?

Su questo, Napolitano, potrebbe farci un pensierino.

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