Un rapporto dell’Osservatorio fiscale europeo include Intesa Sanpaolo e Mps tra le banche europee che hanno fatto ricorso ai paradisi fiscali
Nascondere i profitti nei paradisi fiscali resta sempre una delle soluzioni più seguite dalle società di tutto il mondo e le banche non fanno eccezione.
Tra queste, gli istituti europei non mancano all’appello e uno studio dell’Osservatorio fiscale europeo, l’organismo comunitario che si preoccupa di questioni legate alla tassazione, ha rivelato quante risorse sono state sottratte al fisco europeo e quali sono le banche italiane coinvolte. Il report analizza l’evoluzione dell’attività dei maggiori 36 istituti europei tra il 2014 e il 2020, ovvero da quanto sono disponibili i dati divisi per paesi.
I ’campioni’ dell’evasione
Secondo il report dell’Osservatorio, sono 36 le banche europee che ricorrono ai paradisi fiscali per registrare i loro profitti, valutando l’evasione complessiva pari a 20 miliardi ogni anno.
Tra le banche italiane la prima risulta Monte dei Paschi di Siena con il suo secondo posto e oltre il 50% dei profitti registrati, mentre Intesa Sanpaolo si colloca al decimo posto con il 10%. Entrambe risultano, dunque, nei primi 10 istituti europei a eludere il fisco.
Nonostante l’introduzione nel 2014 della rendicontazione obbligatoria Paese per Paese, pensato quale strumento di trasparenza per frenare il fenomeno, addirittura otto istituti hanno aumentato la percentuale di utili contabilizzati in questi paesi. Si tratta delle italiane Mps (+19,4%) e Intesa Sanpaolo (+12,2%), a cui si aggiungono HSBC (+7,9%), Barclays (+4.3%), Nordea (+2,1%), BBVA (+1%), Banco Santander (+0.8%) e Rabobank (+0,7%).
Tra i paesi identificati dallo studio quali paradisi fiscali si trovano Bahamas, Bermuda, British Virgin Islands, Isole Cayman Islands, Guernsey, Gibilterra, Hong Kong, Irlanda, Isola di Man, Jersey, Kuwait, Lussemburgo, Macao, Malta, Mauritius, Panama e Qatar.
Un quadro variegato
La percentuale media dei profitti messi a bilancio dalle banche si aggira intorno al 20%, con punte che possono arrivare al 58%. Tra i casi analizzati dal report ci sono quelli di Hsbc, Deutsche Bank e SocGen, dove è elevata la presenza nelle giurisdizioni fiscali favorevoli. Se per Hsbc i profitti sono registrati soprattutto a Hong Kong, negli altri casi si ricorre a diverse giurisdizioni.
Poco omogeneo anche il tax rate effettivo che, partendo da un media del 20%, si passa dal minimo del 10% a massimi del 30%, con sette banche che riescono ad avere una percentuale inferiore al 15%.
Infine, i profitti sono particolarmente elevati laddove risulta elevato il rapporto con i dipendenti: 238 mila a testa rispetto ai 65 mila normalmente registrati nei Paesi a tassazione regolare.
Mentre le comunicazioni paese per paese che dovevano far luce sui meccanismi interni delle banche non hanno modificato l’atteggiamento nei confronti dei paradisi fiscali, conclude il report, si sottolinea l’esigenza di iniziative più ambiziose come l’aliquota minima globale del 25%.
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