Il taglio dell’Irap è una scelta giusta?

Francesco Oliva

01/06/2020

Il Decreto Rilancio prevede l’eliminazione una tantum dell’Irap (su saldo 2019 e primo acconto 2020): si tratta di una scelta giusta?

Il taglio dell’Irap è una scelta giusta?

L’articolo 25 del Decreto Rilancio - il Decreto Legge numero 34/2020 - ha previsto il taglio dell’Irap per imprese e professionisti che nel 2019 hanno conseguito ricavi o compensi non superiori ad euro 250 milioni.

La norma prevede uno stanziamento di circa 3,95 miliardi di euro, che vengono così distratti dal bilancio degli enti locali, cui erano originariamente destinati. Tali soggetti verranno tuttavia parzialmente ristorati dalla previsione del comma 4 dello stesso articolo 25, che prevede l’istituzione di un fondo di 448 milioni di euro destinato a Regioni e Province autonome.

Il meccanismo tuttavia prevede alcune criticità, che si dovrebbero analizzare in un’ottica più ampia di politica economica:

  • chi sono i soggetti beneficiari?
  • quali sono le conseguenze in termini di impatto sulla finanza pubblica locale?
  • si potrebbe rendere strutturale un intervento di questo tipo?

Taglio saldo Irap 2019 e primo acconto 2020: chi sono i soggetti beneficiari e perché (forse) si tratta di un intervento iniquo in questo momento storico

I soggetti beneficiari effettivi del taglio una tantum dell’Irap prevista dal Decreto Rilancio sono coloro che hanno avuto una crescita della base imponibile oggetto di calcolo tra i periodi di imposta 2018 e 2019.

Detto in altri termini: questi 3,95 miliardi di euro premiano le imprese che hanno prodotto un reddito 2019 superiore a quello del 2018.

Facciamo un piccolo e banale esempio pratico per capirci.

L’aliquota ordinaria Irap è pari al 3,90%, salvo la possibilità per le Regioni di alzarla o ridurla fino ad un massimo di 0,92 punti percentuali.

Immaginiamo il caso delle imprese A e B che operano in Lombardia, dove l’aliquota di riferimento è quella ordinaria ovvero il 3,90 per cento.

L’impresa A presenta i seguenti numeri:

  • nel 2018 il reddito imponibile Irap è pari a 1 milione di euro per un’Irap di competenza pari a 39.000,00 euro;
  • nel 2019 l’attività cresce tanto e si raddoppia il reddito, arrivando ad un imponibile Irap pari ad euro 2 milioni, con un’Irap di competenza pari ad euro 78.000,00.

L’impresa B presenta lo stesso reddito imponibile Irap 2018 ma nel 2019 l’attività non va bene, ed il suo reddito imponibile fa il percorso inverso, scendendo della metà a 500.000,00 euro, per un’Irap di competenza pari ad euro 19.500,00.

Grazie alla misura prevista dal Decreto Rilancio:

  • l’impresa A nel 2020 beneficerà di una riduzione Irap pari alla somma del saldo 2019 ed al primo acconto 2020, il cui importo totale sarà circa 42.900,00 (il calcolo è ipersemplificato e non tiene conto di alcuni variabili per non complicare troppo l’esempio);
  • l’impresa B, che si trova in difficoltà ed in fase di crisi, avrà un beneficio pari ad euro 10.725,00 (anche in questo caso il calcolo è ipersemplificato e non tiene conto di alcuni variabili per non complicare troppo l’esempio).

L’agevolazione riguarda anche il primo acconto 2020, che le imprese dei settori più colpiti verosimilmente non verseranno o verseranno in misura sensibilmente inferiore rispetto ai dati derivanti dall’applicazione del calcolo con metodo storico.

Qual è la conseguenza di questo meccanismo? Semplice: l’impresa A che si trova in fase di espansione e magari non ha risentito eccessivamente dell’emergenza Covid-19 viene agevolata fortemente; l’impresa B viene invece aiutata molto meno ed il suo calo è stato - sempre a titolo di ipotesi - acuito dall’emergenza sanitaria.

Alla luce di quanto sopra ritenete equa questa scelta?

Agevolazioni fiscali Irap del Decreto Rilancio: scelta iniqua in questo momento

A modesto avviso di chi scrive in questo momento storico la scelta del Governo di impiegare circa 4 miliardi di euro in questo modo risulta iniqua.

Concettualmente sono assolutamente favorevole al fatto che le imprese che producono utili e che evidenziano trend di crescita importanti siano premiate fiscalmente. Anche questa è meritocrazia.

Ciò, infatti, incoraggia e dà fiducia agli imprenditori, stimolando maggiori investimenti, maggiore produzione, crescita dell’occupazione e rafforzamento della stabilità dell’azienda e dei posti di lavoro che essa riesce a garantire.

Tuttavia, in questo particolare momento storico tali risorse forse potevano essere destinate a settori che, in forza di disposizioni di legge derivanti dall’emergenza sanitaria, hanno dovuto chiudere, o sono ancora costrette a farlo per vari motivi, come avviene nel caso del settore turistico e della ristorazione.

Si è preferito, invece, dedicare questo sforzo alle aziende che, in linea di principio, potrebbero avere meno bisogno di altre di essere aiutate.

Che impatto avrà la riduzione dell’Irap sulla finanza pubblica locale e sul delicato rapporto tra istituzioni nazionali e locali?

Un altro tema forse eccessivamente trascurato nel dibattito sul Decreto Rilancio è quello relativo alle conseguenze che si avranno sulla finanza pubblica locale da questa scelta dell’Esecutivo.

Nel merito non me la sento di sindacare o dare giudizi che non mi competono.

Da cittadino mi pongo però un interrogativo: il ristoro parziale previsto dal comma 4 dell’articolo 25 del DL 34/2020 - pari a circa il 10% del totale delle risorse “sottratte” alle Regioni - sarà sufficiente per evitare scompensi ai fondi destinati prevalentemente al nostro Servizio Sanitario Nazionale? In questo senso si farà forse affidamento esclusivo sui fondi attesi dall’Europa, per esempio dal “Mes sanitario” ovvero dal Recovery Fund?

Su questi punti mi auguro si apra un dibattito serio, una discussione che affronti anche lo spinoso tema della necessità di una verifica dell’effettiva efficienza del sistema di distribuzione delle competenze legislative statali, regionali e concorrenti disegnato dal Titolo V della Costituzione.

Parte della confusione che si è creata durante il picco dell’emergenza sanitaria, con cittadini smarriti dall’alto numero di provvedimenti nazionali e regionali, a volte fra loro incongruenti, potrebbe essere stato determinato proprio dalle lacune del federalismo regionale così come pensato dal centrosinistra - con il benestare dell’allora Lega Nord, in quegli anni fuori dalla storica alleanza con il centrodestra - durante la legislatura 1996-2001.

Si potrebbe rendere strutturale questo intervento?

Per diversi anni, almeno fino alla metà del 2011, il dibattito sulla possibile abolizione dell’Irap si è concentrato sulla sostituzione del relativo gettito con un aumento dell’imposizione fiscale indiretta, con particolare riferimento alle aliquote IVA.

Tale dibattito si arrestò nell’agosto 2011 all’epoca della cosiddetta “crisi dello spread” che causò successivamente la prematura fine del Governo Berlusconi IV.

A partire da quel momento l’aumento delle aliquote IVA fu reso necessario per rispettare i vincoli comunitari, considerando anche gli “accordi informali” contenuti nella famosa lettera del presidente della BCE al Governo italiano del 5 agosto 2011.

Successivamente l’aliquota IVA ordinaria fu alzata:

  • prima, proprio nel 2011, dal 20 al 21 per cento;
  • per poi essere ulteriormente aumentata nel 2013 al 22 per cento (attuale aliquota ordinaria).

La strada della sostituzione del gettito fiscale Irap con aumento delle aliquote IVA appare oggi non più percorribile, stante l’attuale situazione dei conti pubblici e dell’economia nel suo complesso. Il rischio di un’ulteriore mazzata sui consumi è troppo alto.

Al momento l’Irap riesce a garantire un gettito fiscale annuale pari a poco più di 32 miliardi di euro, ovvero circa il 2% del PIL, ed è destinata a finanziare il sistema sanitario, la cui gestione è di competenza regionale.

Un intervento di riduzione strutturale è stato escluso esplicitamente dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante la conferenza stampa di presentazione del Decreto Rilancio.

E ciò appare comprensibile, soprattutto per effetto delle difficoltà di intervenire su alcune questioni annose e relative:

  • all’effettiva efficacia del sistema di contrasto all’evasione fiscale, efficacia frenata più da scelte politiche di attuazione delle norme esistenti più che da carenze e/o incompletezza delle medesime;
  • alla necessità di una rimodulazione - in senso di maggiore equità - delle aliquote Irpef;
  • alla necessità di una organica riforma del sistema fiscale, che miri ad ottimizzare i vantaggi del digitale per arrivare ad una sempre maggiore semplificazione degli adempimenti e delle procedure.

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