In tutta Italia ancora mancano tamponi e reagenti, ma il protocollo sanitario proposto dalla Figc al governo prevede un minimo di 500 test molecolari per i calciatori ogni 4 giorni.
“Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali per altri”. Così scriveva George Orwell nella sua celebre opera La fattoria degli animali, con questo slogan che può essere preso in prestito per spiegare cosa sta succedendo in questa Italia alle prese con una crisi sanitaria ed economica senza precedenti dovuta dal coronavirus.
Al centro di tutto c’è ancora una volta il calcio, sport nazionalpopolare per eccellenza nel Bel Paese e che si trova a un passo dal baratro: se almeno il campionato di Serie A non dovesse riprendere dopo lo stop di inizio marzo “ qui falliscono tutti ”, prendendo in prestito questa volta una recente frase del patron del Brescia Massimo Cellino.
Più che colpa del COVID-19 il calcio italiano è con l’acqua alla gola per i 2,4 miliardi complessivi di debiti accumulati, prima che scoppiasse l’emergenza coronavirus, dai venti club della nostra Serie A.
Il grido di battaglia per salvare tutta la baracca è quindi “ripartire, ripartire, ripartire”, ma il protocollo sanitario redatto dal Cts e inviato dal Ministero dello Sport alla Figc è stato rimandato al mittente, bollato come troppo restrittivo e inattuabile.
La Figc in tutta fretta ha quindi recapitato adesso al ministro Spadafora una sorta di contro-protocollo, dove viene esclusa la quarantena per tutta la squadra in caso di un positivo, ci finirebbe solo il contagiato, e viene reso più morbido il ritiro-clausura con i calciatori che tornerebbero a dormire a casa.
Per accrescere la sicurezza sanitaria il calcio però è pronto ad aumentare i controlli verso giocatori e staff: termo scanner all’arrivo nel centro sportivo e, soprattutto, tamponi ogni quattro giorni e test sierologici ogni due settimane.
Tamponi: calciatori privilegiati?
Nelle linee guida redatte per la ripresa dei campionati di calcio dal Comitato tecnico scientifico che affianca il governo, veniva specificato che i test molecolari da dover svolgere non dovranno “impattare sulla vita dei cittadini”.
Nonostante l’emergenza coronavirus in Italia sia scoppiata tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, al momento in tutta la penisola mancherebbero i tamponi e soprattutto i fondamentali reagenti, che non sarebbero a disposizione neanche per il personale sanitario.
Giusto per citare un caso Barbara Codalli, direttore sanitario della casa di riposo di Nembro una delle località tragicamente simbolo di questa crisi sanitaria, ha proprio in queste ore lanciato l’allarme dell’assenza dei tamponi.
Più che il tampone stesso, a mancare sarebbero soprattutto i reagenti ormai quasi un bene di lusso nel nostro Paese, così come non ci sono sufficienti strutture ad hoc che possano analizzare in tempi brevi l’alto numero di test che in teoria andrebbero fatti.
Quando il mondo del calcio si è iniziato a interrogare su come ripartire, il numero uno dell’Aic Damiano Tommasi ha specificato che “i giocatori non vogliono essere dei privilegiati”, mentre il presidente della Figc Gabriele Gravina ha lanciato la proposta che “le squadre di calcio, per ogni 1.000 tamponi acquistati, ne regalino almeno altrettanti ai cittadini”.
A fine marzo il Codacons ha fatto un esposto in quanto, i calciatori ma anche i vip in generale e i loro familiari, avrebbero avuto un più facile accesso ai tamponi rispetto ai cittadini.
In questo scenario, il protocollo sanitario presentato dalla Figc al governo prevede per i calciatori un test molecolare ogni quattro giorni, mentre quelli sierologici andrebbero fatti ogni due settimane.
Facendo una stima a ribasso, considerando quindi soltanto i 25 giocatori di ogni rosa ed escludendo i giovani e tutto il resto dello staff, per far ripartire la Serie A andranno fatti un minimo di 500 tamponi ogni quattro giorni.
Se invece includiamo anche staff, collaboratori e giovani della Primavera, questo numero può tranquillamente raddoppiare. Naturalmente ogni spesa sarebbe a carico dei club, ma è ovvio che questi tamponi verrebbero in qualche modo sottratti alla gente comune.
Bisogna vedere adesso se il presidente Gabriele Gravina sarà di parola, imponendo alle squadre di Serie A di donare ai cittadini un numero pari di tamponi acquistati per fare i test ai propri giocatori.
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