Dal 15 marzo, un anno dopo il primo lockdown, 12 Regioni e Province autonome saranno colorate di rosso. Ecco un confronto tra prima e terza ondata.
Da lunedì circa mezza Italia sarà in zona rossa, l’altra metà in zona arancione: non è un vero e proprio lockdown, ma un anno dopo la situazione sembra tornata al massimo livello di allerta.
Le restrizioni introdotte per contenere la seconda ondata non sono sufficienti per la terza: per questo motivo sono stati cambiati i criteri per il passaggio alla zona rossa e sono state introdotte ulteriori misure di restrizione, come la chiusura delle scuole (di ogni ordine e grado). Sarà una Pasqua blindata, come quella del 2020, quando l’Italia stava lottando con un virus fino a qualche mese prima sconosciuto.
Dopo più di un anno, però, sembra siamo tornati al punto di partenza: si parla di lockdown a Pasqua, nonostante nel frattempo l’Italia possa contare sui vaccini e su nuove conoscenze rispetto a come affrontare la pandemia.
Quel che ci interessa è capire se i dati di oggi sono uguali a quelli di allora: ecco quindi un confronto tra l’Italia di marzo 2020 e quella del marzo 2021, ovvero tra prima e terza ondata del virus.
Italia tutta in zona rossa (o quasi): il confronto con un anno fa
Non si può parlare di vero e proprio lockdown in Italia, ma la situazione che vivremo da lunedì somiglia molto a quella del marzo dello scorso anno. Dalla prossima settimana 12 regioni e province autonome saranno in zona rossa, mentre 7 in zona arancione. Ci saranno limitazioni sugli spostamenti in quasi tutta Italia, ad eccezione della Sardegna che resta zona bianca.
Una situazione che ricorda quanto successo il 9 marzo scorso, quando l’Italia entrava in lockdown. Va detto che fare un confronto con la situazione di allora non è semplice: eravamo all’inizio di una pandemia sconosciuta, i tamponi effettuati erano molti meno rispetto ad oggi e non tutti i decessi per Covid venivano registrati. Oggi i numeri sono più elevati anche perché sono molti di più i test effettuati.
Ma torniamo indietro al 9 marzo 2020: allora si registravano 1.598 nuovi contagi (9.172 casi totali a fronte di 53.826 tamponi effettuati da inizio pandemia) più 97 decessi. Il bollettino di ieri, venerdì 12 marzo, ci dice invece che i nuovi casi sono stati 26.824 (a fronte di 369.636 tamponi molecolari e antigenici effettuati, a fronte di un rapporto positivi/test del 7,2%), mentre i decessi sono 380.
La situazione negli ospedali si avvicina a quella che c’è oggi. Nel dettaglio, allora - ad inizio pandemia- i pazienti ricoverati erano 4.316, di cui 733 in terapia intensiva.
Oggi in terapia intensiva ci sono 2.914 persone (ma bisogna considerare che ci sono ancora i residui della seconda ondata), un numero comunque più basso rispetto a quello raggiunto nel picco della prima ondata, quando il 3 aprile c’erano più di 4.000 pazienti ricoverati (a fronte di 5.179 posti letto a disposizione, mentre oggi si è saliti a circa 8.600).
Covid: terza ondata peggiore della prima, ma per adesso lockdown non necessario
Siamo, quindi, già nel pieno della terza ondata e la situazione oggi è persino peggiore, lato contagi, di quella che portò al lockdown del 9 marzo scorso. Ma allora l’Italia doveva fare i conti con diverse variabili, mentre oggi disponiamo di più strumenti per affrontare la terza ondata senza rischiare la saturazione degli ospedali.
Già il fatto che la maggior parte del personale sanitario si sia vaccinato, così come i soggetti a rischio, ci dà la possibilità di affrontare la terza ondata senza dover - almeno per il momento - disporre un lockdown. Tuttavia, servirà la responsabilità di tutti: come confermato da Mario Draghi, infatti, i divieti introdotti dall’ultimo Decreto sono necessari per evitare un ulteriore peggioramento che porterebbe il Governo ad “adottare misure ancora più drastiche”.
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