In Italia tantissime persone sono positive ma asintomatiche: stiamo diventando immunoresistenti al coronavirus? Cosa dicono gli studiosi.
Gli italiani potrebbero diventare immuni al coronavirus ed è cruciale capire in quanti stanno sviluppando resistenza alla COVID-19. È quanto emerge da delle ricerche dell’istituto epidemiologico di Vo’, una delle zone più colpite dall’epidemia in Italia.
Gli studi continuano senza sosta da settimane e recenti indagini sembrano dimostrare che moltissime persone positive al coronavirus siano asintomatiche, ossia non mostrino sintomi visibili, quali febbre, tosse o difficoltà respiratorie.
Quello che si stanno chiedendo gli scienziati in questo momento è se le persone asintomatiche stiano sviluppando degli anticorpi nei confronti del virus, ma soprattutto se questi anticorpi restino nella memoria immunitaria, rendendo i soggetti immuni al corovirus grazie a degli specifici anticorpi contro il virus COVID-19.
Italiani verso immunità al coronavirus: cosa significa
Il processo per diventare immuni a un virus inizia quando il nostro organismo sviluppa una risposta immunitaria nei confronti dell’organismo patogeno in modo autonomo, ossia produce degli specifici anticorpi che poi rimangono all’interno dell’organismo in modalità silente e si riattivano qualora dovesse ripresentarsi un contagio dallo stesso virus.
Entrando più nel dettaglio, la risposta immunitaria del nostro organismo è un processo molto complesso che prevede diverse fasi e coinvolge diverse cellule e strutture:
- un virus entra nel nostro organismo e viene attivata una risposta immunitaria innata con specifiche cellule, il cui compito è quello di “proteggerci” chiamate Natural Killer, Gonociti e Granulociti;
- in un secondo momento entrano in gioco le cellule dell’immunità adattiva, chiamate linfociti T e B, i quali consentono di sconfiggere l’infezione virale;
- i linfociti B producono degli anticorpi (chiamati IgM) che riconoscono l’organismo virulento e lo neutralizzano, rendendolo innocuo;
- gli anticorpi IgM si differenziano ed iniziano a produrre gli anticorpi IgG i quali sono in grado di riconoscere degli specifici virus ed attivare una risposta immunitaria mirata.
Come si sviluppa l’immunità adattiva
La produzione degli anticorpi IgG continua per diverse settimane dopo che il virus è stato ucciso, e man a mano inizia a ridursi sempre più senza però interrompersi mai. All’interno dell’organismo rimangono le cosiddette cellule B della memoria, che si attivano nuovamente qualora lo stesso virus dovesse entrare nuovamente dell’organismo impedendogli di moltiplicarsi.
Questo principio immunitario è quello che è alla base dei vaccini: si introduce una piccola quantità di agente patogeno nell’organismo, che viene sconfitto dagli anticorpi, i quali si “specializzano” contro quello specifico virus.
Le conseguenze dell’“immunità di gregge”
Nel caso in cui i pazienti asintomatici sviluppassero una resistenza al virus, secondo i virologi, potrebbe attuare quella che in gergo viene chiamata “immunità di gregge”. Attualmente si stima che il 75% dei contagiati sia asintomatico, dunque non è possibile determinare con certezza quale sia il numero reale dei contagi in Italia.
L’immunità di gregge crea un ambiente ostile per il virus che non riesce a diffondersi tra la popolazione e dunque aumenta la possibilità delle persone che non hanno sviluppato degli specifici anticorpi di essere “protette” da tutte gli altri cittadini che invece sono immuni al virus, dal momento che si riducono le possibilità di incontrare e contrarre il virus.
Gli sforzi dei virologi in questi giorni è proprio concentrata sul cercare di comprendere quale sia la percentuale di popolazione che ha sviluppato la resistenza al virus e se ci sono variazioni in base a determinate caratteristiche come l’età o il genere. In attesa di un vaccino o di una terapia efficace, queste informazioni potrebbero essere in grado di influire sulle strategie da attuare per il contenimento del virus.
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