Questa settimana l’Istat ha portato praticamente solo cattive notizie per l’economia italiana. La ripresa non c’è e il futuro potrebbe essere molto difficile.
Questa settimana l’Istat ha pubblicato diverse proiezioni riguardo la situazione economica italiana. Dopo il disastroso report annuale relativo allo scorso anno, dal quale è emersa una difficile situazione economica per il Bel Paese, la settimana che si sta avviando a conclusione ha riservato altre cattive notizie.
Nel mese di marzo l’industria ha registrato una contrazione in termini di fatturato e ordinativi, il saldo della bilancia commerciale extra-UE si è ridotto nel mese di aprile rispetto al mese precedente, gli stipendi sono aumentati a ritmi troppo lenti e la fiducia dei consumatori è risultata in calo (in parte anche quella delle imprese) nel mese corrente. Prosegue quindi la difficile dinamica economica che in parte ha trovato il sostegno della BCE, senza il quale la situazione sarebbe potuta essere di gran lunga peggiore.
Italia: dopo report annuale, l’Istat porta altre brutte notizie
L’Istat in una settimana è riuscito a dipingere un quadro molto difficile dell’economia italiana.
6 giorni fa l’istituto di statistica ha pubblicato il consueto report annuale, riferito allo scorso anno, dal quale è emersa una situazione drammatica soprattutto per le giovani leve. Ad aggiungere benzina sul fuoco sono state le proiezioni di questa settimana.
Italia: giù fatturato e ordinativi industriali a marzo - Istat
Le cattive notizie, andando in ordine cronologico, sono iniziate ad arrivare mercoledì quando l’Istat ha reso note le rilevazioni sul fatturato e gli ordinativi dell’industria di marzo. Il fatturato si è contratto del -1,6% mentre gli ordinativi sono scesi del -3,3%.
Analizzando la composizione della discesa, è possibile vedere come la flessione sia dovuta principalmente alla domanda interna (ma anche estera per gli ordinativi).
Difatti, il calo del fatturato è frutto della flessione del 2,6% del mercato interno mentre quello estero è aumentato lievemente del +0,1%. Gli ordinativi hanno invece registrato una flessione sia internamente (-1,5%) che esternamente (-5,8%).
C’è da dire che il prematuro avvento della Pasqua potrebbe aver inciso sull’andamento di questi dati, dando così una visione più distorta delle rilevazioni Istat.
A spingere però in basso il fatturato è anche la deflazione che sta convincendo le aziende a praticare politiche sempre più aggressive di prezzo in modo da catturare la debole domanda.
Italia: aumento dei salari più lento dal 1982
Domanda che per forza di cose è debole se si analizza un’altra proiezione dell’Istat, e cioè quella dell’inflazione degli stipendi di aprile (uscita in concomitanza con le vendite al dettaglio, anch’esse apparse deboli).
Da questo dato è emerso che gli stipendi italiani aumentano al ritmo più basso degli ultimi 34 anni. La variazione migliore si è vista nel settore privato con un aumento del +0,8% mentre nel settore pubblico la crescita è stata piatta (cioè nulla).
I contratti collettivi in attesa di rinnovo sono 52 (15 della PA) e riguardano circa 8,3 milioni di lavoratori. Il tempo di attesa per il rinnovo delle condizioni contrattuali è di 37,9 mesi per il settore pubblico mentre è di poco meno di 18 mesi per il privato.
I salari italiani sono tra i peggiori in Europa secondo la rilevazione di febbraio di Willis Towers Watson mentre quelli dei neoassunti sono proprio all’ultimo posto della classifica, preceduti da quelli della Spagna.
Italia: scende la fiducia dei consumatori ad aprile, in rialzo quella delle imprese
Andiamo avanti e passiamo ai dati di oggi. L’Istat ha rilevato che la fiducia dei consumatori si è contratta a maggio a 112,7 punti dai 114,1 del mese di aprile.
La fiducia delle imprese in linea generale è migliorata ma risulta in calo quella delle aziende manifatturiere, delle costruzioni, dei servizi di mercato e del commercio al dettaglio.
Italia: il pericolo per il futuro
La situazione non è quindi delle migliori e l’orizzonte sembra ancora piuttosto opaco. Le politiche della BCE di stimolo monetario stanno permettendo al Paese di finanziarsi ad un costo minore nelle nuove emissioni (costo “marginale”), vista la pressione di Francoforte sul mercato obbligazionario che sta spingendo i rendimenti sempre più in negativo.
Tuttavia, tale minor costo si riflette con ritardo su quello medio grazie appunto alla BCE. Intesa Sanpaolo scrive che invece il trend positivo dell’avanzo primario si è interrotto e potrebbe riprendere solo tra qualche anno.
Per ridurre il rapporto debito/PIL è necessario che il PIL nominale cresca maggiormente rispetto al costo medio del debito se non si vuole mettere mano all’avanzo primario.
Questo “gioco” innescato dalla BCE permette allo Stato di fare in modo che il PIL nominale cresca maggiormente rispetto al costo medio del debito il che comporta una spesa dell’avanzo primario piuttosto che una riduzione del debito (stando a quanto dichiarato dal governo).
Il problema è che quando i tassi torneranno a salire e il QE smetterà di sostenere la domanda, c’è il rischio serio che l’Italia si ritrovi in difficoltà passando prima, sempre secondo Intesa, per un anno fintamente buono (il 2017) nel quale verrà concessa ulteriore flessibilità.
Flessibilità che svanirà probabilmente negli anni seguenti, quando tutto questo effetto fittizio rischia di crollare andando a impattare i cittadini di oggi e quelli di domani (debito sale, pagano le generazioni future). Insomma, per ora non è proprio un bel vedere.
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