Balzo del 2,6% in una settimana per l’oro. Sullo sfondo le pressioni inflazionistiche che le schermaglie tra i Paesi Opec+ rischiano di inasprire.
L’oro torna a correre dopo un mese di giugno segnato da pesanti storni. Nell’ultima settimana, infatti, la commodity ha guadagno il 2,6%, passando da 1.760 a 1.807 dollari l’oncia. Una quotazione, quella corrente, che è sensibilmente inferiore ai livelli di inizio giugno, quando l’asset scambiava intorno ai 1.900 dollari, ma che segna una decisa inversione di tendenza rispetto ai minimi toccati la scorsa settimana.
L’oro torna a correre, il prezzo sfonda quota $1.800. I motivi
Sullo sfondo, a premiare la quotazione dell’asset, c’è il braccio di ferro in seno all’Opec+ tra i Paesi produttori di petrolio. L’Arabia Saudita e la Russia puntano a mantenere i livelli attuali di produzione fino a dicembre 2022, così da far lievitare il prezzo del greggio – il Brent del Mare del Nord scambia attualmente a 77,3 dollari al barile, il texano Wti a 76,4 – e massimizzare i profitti.
Sull’altro fronte, però, c’è la ferma opposizione degli Emirati Arabi, con il ministero dell’Energia in prima fila a rilevare il “bisogno tangibile di un aumento della produzione” entro il prossimo mese, “senza condizioni”. Insomma, tra i produttori è guerra aperta, e nelle ultime ore anche la Casa Bianca ha iniziato a mediare tra le parti. A finire nel fuoco incrociato, però, c’è soprattutto l’oro.
Sì perché senza un compromesso che permetta ai Paesi dell’Opec+ di chiudere la pratica, il prezzo del petrolio finirà per seguire inevitabilmente una scia rialzista, spingendo l’inflazione mondiale – innescata dalle politiche di supporto implementate durante l’emergenza pandemica – e mettendo così a rischio la tenuta della ripresa. E l’oro, il più classico dei safe haven, già capitalizza una eventuale impennata dei prezzi, promettendo di fare da scudo al capitale degli investitori.
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