Guerra e crescita economica: i conflitti aiutano ad uscire dalla crisi?

Livio Spadaro

23 Novembre 2015 - 17:39

La Storia insegna che durante i periodi di guerra, molti Paesi hanno conosciuto una crescita vertiginosa del PIL. Può la guerra essere la soluzione di un periodo di crisi?

Guerra e crescita economica: i conflitti aiutano ad uscire dalla crisi?

Può la guerra essere un fattore benefico per la crescita dell’economia di un Paese? La storia insegna che un atto bellico (di una portata abbastanza consistente) può essere il catalizzatore per la ripresa economica.
Vediamo nel dettaglio i casi storici più significativi cercando di confrontarli con quanto potrebbe accadere in Siria dopo gli attacchi terroristici di Parigi.

La guerra porta alla crescita? Il caso degli Stati Uniti

La guerra è stata in passato un catalizzatore per la ripresa economica dei Paesi che ne hanno fatto parte attivamente o da fornitori. I casi più eclatanti di crescita economica si registrano durante periodi di grandi guerre come ad esempio la prima e la seconda guerra mondiale.

Durante la prima guerra mondiale, nel periodo compreso tra il 1914 ed il 1919 il PIL degli Stati Uniti ebbe un’impennata di più del 25% che corrispondeva al triplo di quello della Gran Bretagna o a 6 volte di quello della Francia. Tuttavia, il dato di maggior rilievo si registra durante il periodo della seconda guerra mondiale in cui il PIL americano era più che raddoppiato.

La crescita di quel periodo non riguardò solo gli Stati Uniti ma anche altre nazioni quali la Gran Bretagna che vide salire il proprio PIL del 22%, il Canada del 75%, il Messico del 39% solo per fare alcuni esempi.

Ovviamente, il discorso non è valido per quei Paesi usciti malconci dalla guerra e che subirono l’occupazione nazista. Ad esempio, l’Olanda vide regredire il PIL del 46% e la Francia quasi del 50%. Questo perché le economie dei Paesi occupati furono in qualche modo inglobate dall’economia tedesca che ne sfruttò al massimo le potenzialità (prosciugando però le casse dei Paesi occupati).

Altri esempi di crescita economica si possono vedere anche durante la guerra di Corea, del Vietnam, o durante la costruzione dello “scudo stellare” di Reagan o ancora durante la prima guerra del Golfo. Durante quei periodi infatti, i Paesi coinvolti direttamente o indirettamente nelle guerre hanno conosciuto un’importante espansione economica.

Guerra e crescita: perché i conflitti portano alla ripresa economica?

Al di là degli effetti sui Paesi fornitori di alimenti o di materie prime di cui il beneficio è chiaro, è interessante vedere come un forte aumento della spesa pubblica negli armamenti abbia potuto in qualche modo risollevare le economie dei Paesi coinvolti in importanti conflitti.

Questo avviene poiché la spesa militare viene finanziata principalmente grazie a una flessibilità piuttosto generosa sul deficit che permette di incrementare l’occupazione, la produzione e gli ordini alle imprese.

Da tale politica ne risulta un aumento nella spesa individuale, visto l’aumento dell’occupazione, e una produzione a pieno regime delle industrie nazionali. Inoltre, fare una guerra (o prevenirla come nel caso dello “scudo stellare”) si traduce il più delle volte in un aumento dell’innovazione, poiché la guerra si combatte ai giorni nostri soprattutto vincendo sul piano dell’innovazione rispetto al nemico.

L’innovazione porta al progresso di un Paese, sempre grazie alla Storia possiamo vedere come l’impero romano crollò dopo un lunghissimo periodo di pace, durante il quale non vi erano stati delle grosse innovazioni.

Non solo: la spesa bellica aiuta un perimetro molto più vasto di aziende piuttosto che le sole società produttrici di armi. Si pensi ad esempio alle società di alimenti o a quelle dell’elettronica o dell’energia informatica o della produzione di componentistica o ancora di farmaci e medicamenti.

Per non parlare delle società che commerciano o producono le materie prime, le quali sono molto richieste per la costruzione degli armamenti.

Le armi, inoltre, sono beni che possono essere rivenduti (a prezzi molto elevati) o usate in conto terzi (come nel caso della prima guerra del Golfo in cui l’Arabia Saudita si fece carico di quasi tutta la spesa militare sostenuta dagli USA per la guerra) o ancora usate come strumento intimidatorio (guerra fredda).

Il consumo di armi fa in modo che ne venga alimentata la produzione (molto costosa ma anche molto profittevole) per sostituirle, ad esempio un elicottero abbattuto si traduce in 20$ milioni distrutti che possono essere facilmente recuperati attraverso la vendita di un nuovo mezzo. In totale,la guerra in Afghanistan è costata agli Stati Uniti circa 1$ miliardo al mese che però, spalmato sulla produzione industriale, è tutto di guadagnato.

In linea generale, si può pensare che la guerra sia effettivamente un mezzo di ripresa economica (molte delle recenti guerre sono state frutto di periodi di crisi) anche se va contestualizzato alla portata della guerra.

In un clima di paura, gli Stati possono facilmente far leva sulla spesa per la sicurezza aumentando la flessibilità sul deficit pubblico senza che nessuno possa opporsi (la sicurezza è inoppugnabile).

Francia contro l’ISIS: quali effetti sulla crescita?

Hollande, a seguito degli attentati di Parigi, ha fatto sapere che la Francia aumenterà le spese in sicurezza facendo perno sulla flessibilità del deficit (con benestare dell’UE).

Tuttavia, una manovra del genere, visto il contesto, non dovrebbe portare a grossi cambiamenti nell’economia francese anche perché, che sia un pro o un contro, l’Europa si basa sul principio di sostenibilità dal quale ne risulta uno sfruttamento al massimo offerto da un fattore di sviluppo senza eccedere nello uso dello stesso.

Questo fa in modo che in Europa si rifiuti l’utilizzo di manovre artificiose per lo sviluppo dell’economia (o almeno finché non ha fatto il suo ingresso il QE) che evitano l’uso di manovre economiche belliche per stimolare la crescita dell’economia. Se questo principio rimarrà valido, non ci si dovrebbe attendere una grossa escalation militare in Siria.

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