Come ridurre il debito pubblico italiano con il credito d’imposta

Ezio Pozzati

17 Aprile 2021 - 07:30

Convertire parte del debito pubblico italiano in credito di imposta? Analizziamo la possibile soluzione ad un rapporto deficit/PIL troppo alto.

Come ridurre il debito pubblico italiano con il credito d’imposta

Sappiamo che il rapporto debito pubblico e PIL italiano ormai è quasi arrivato al 160%. Cifra ragguardevole.

160 anni fa, nel lontano 1861, il debito pubblico dell’Italia in rapporto al prodotto interno lordo era del 24% - il PIL a prezzi di mercato corrispondeva a 3,7 milioni di euro e il debito pubblico nominale a 1,67 milioni.

Interessante, poi, andare ad indagare chi sono i detentori del debito pubblico oggi e chi lo era 20 anni fa.

In aggiunta, esaminiamo anche la composizione dei titoli di Stato e la durata media per avere un quadro generale.

Perché queste osservazioni? Si legge da più parti che per alcuni studiosi, economisti e così via, occorre uno shock monetario, tenere sotto controllo lo spread, un new deal di Roosevelt, emettere una moneta virtuale, monete parallele, utilizzare il Meccanismo Europeo di Stabilità, aumentare le tasse. Ma un’altra soluzione è possibile.

Il problema del debito pubblico italiano

Molti altri, compreso il sottoscritto, hanno provato a pensare all’emissione di titoli irredimibili, magari con un tasso elevato, ben sapendo però che, anche se non verranno mai rimborsati, nella contabilità dello Stato anch’essi si aggiungeranno al debito pubblico accumulato.

Altri ancora hanno voluto indirizzarsi verso il settore immobiliare, sia privato, con una patrimoniale, sia in quello pubblico, con la proposta di alienare gli immobili dello Stato. In fatto a fantasia a noi italiani non ci batte nessuno.

Tutti sappiamo che l’unica autorizzata ad emettere denaro è la Banca Centrale Europea, quindi non si possono emettere titoli non collegati all’euro. Il Patto di stabilità e Crescita (PSC), stipulato e sottoscritto nel 1997 dai Paesi membri dell’Unione Europea, con il fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione economica e monetaria dell’Unione Europea (Eurozona), ovvero rafforzare il percorso d’integrazione monetaria intrapreso nel 1992 con la sottoscrizione del trattato di Maastricht, prevede che gli Stati membri soddisfino tutti i cosiddetti parametri che devono continuare a rispettare nel tempo, ossia:

  • un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL (rapporto deficit/PIL < 3%) inserendo nella Costituzione il pareggio di bilancio;
  • un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro), rapporto debito/PIL < 60%.

Ovviamente, in piena pandemia non si può pensare che gli Stati europei riescano a “onorare” quanto approvato. Purtroppo, oggi il forte calo dei consumi - che ha ridotto il PIL a 1.600 miliardi di euro - certamente non aiuta ad essere ottimisti, ma a mio avviso si può guardare lontano. E come? In tutte le situazioni occorre sempre analizzare, per poi arrivare ad una nuova proposta.

La soluzione? Convertire debito in credito di imposta

Ed ecco la mia idea: convertire parte del debito pubblico in credito di imposta.

Potrebbe sembrare strano, ma facciamo un esempio pratico. Ad oggi il debito pubblico italiano è di 2.600 miliardi. Trasformando metà di esso in credito di imposta si potrebbe arrivare un rapporto deficit/PIL dell’80%.
Ai possessori degli ex titoli si potrebbe continuare a pagare il facciale del tasso di interesse, rimborsando il credito di imposta in 10 anni.

Una proposta azzardata (e forse un po’ rivoluzionaria per il mondo della finanza), ma i dati dei detentori del debito pubblico fanno ritenere che anche loro se ne avvantaggerebbero perché sarà possibile la compravendita del credito d’imposta come qualsiasi transazione nelle obbligazioni.

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