Serve una rivoluzione monetaria per risolvere la crisi finanziaria. La soluzione è assai semplice.
La crisi finanziaria, iniziata poco meno di dieci anni fa e che ha messo il mondo di fronte al reale pericolo di un default generalizzato, sembra ai più un ricordo piuttosto sbiadito. Purtroppo non è così, perché secondo quanto dicono gli esperti ed economisti del settore i problemi che hanno generato quella spaventosa crisi sono ancora tutti sul piatto.
In un interessante libro edito da Aboca dal titolo “Se 545 anni vi sembrano pochi”, Luciano Ciambolini, economista che collabora con il Ministero delle Finanze, analizza in maniera critica e molto articolata i perché di questa crisi e il come si potrebbe finalmente risolvere le storture che il dominio del capitalismo finanziario sull’economia reale ha portato nella vita di tutti i giorni.
La sua analisi parte dalla storia di una delle prime banche del mondo che è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria ed ha evitato il default solo grazie al generoso intervento dello Stato. Stiamo parlando del Monte dei Paschi di Siena. Nata nel 1472, essa forse rappresenta il vero inizio del cambio paradigmatico del valore del denaro e del percorso della finanza e della sua “conquista” dell’economia. Dal baratto nell’antichità si arriva ad una forma di moneta che sostituisce il valore delle merci e che viene utilizzata per gli scambi commerciali. Ma la moneta così intesa era comunque sempre legata a un valore intrinseco del metallo con cui veniva forgiata.
In poche parole, secondo Cimbolini la moneta ha cambiato forma ma è rimasta sostanzialmente una merce, universalmente considerata come oggetto di scambio per ottenere altre merci o beni.
In seguito, con l’avvento degli Stati e dei mercati il denaro è diventata qualcosa di differente e non più un oggetto fisico, ma anche e soprattutto un oggetto di carta che scorpora il suo valore intrinseco, mantenendo comunque il suo valore di merce di scambio. Diventa in un certo senso “virtuale” (altro che criptovalute) per trasformarsi nel tempo in qualcosa che rischia di uscire fuori dal controllo, come poi effettivamente è accaduto.
Per quanto riguarda il nostro Paese, recentemente Giancarlo Giorgetti della Lega ha affermato che le cause dei nostri mali legate al debito fuori controllo hanno una precisa datazione, che è quella del 1981, quando avviene il “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia, quest’ultima non più obbligata a garantire in asta il collocamento integrale dei titoli di Stato.
Nel 1981 il debito pubblico ammontava al 57,7% del PIL, nel 1994 era già al 124,3%. Dal 1981 al 2015 lo Stato ha pagato ai compratori “privati” dei suoi bond circa 3.370 miliardi di euro.
Con questo Cimbolini non vuole criticare i mercati e la loro sostanziale liberalizzazione, ma certo è che forse il “giocattolo” come visto nel 2008 pare davvero essere sfuggito di mano. Anche perché le politiche espansive della Fed e della BCE hanno inondato il mondo bancario di liquidità, ma non sempre e anzi solo in piccola parte questa montagna di soldi si è poi riversata sulla economia reale. Ecco che allora diventa corretto sostenere che, in un certo senso, la creazione del denaro oggi non è più affare degli Stati, ma è operazione appaltata a banche centrali e istituzioni finanziarie private.
La gestione del denaro non è più compito dei governi ma solo delle banche che sono molto cambiate rispetto al passato ed hanno perso molte delle caratteristiche che le rendevano un necessario soggetto che permetteva con il denaro di “lubrificare” l’economia reale.
Il denaro è diventato a tutti gli effetti un bene privato in mano a pochi che lo manipolano come più gli conviene.
Basta un dato per capire che cosa si intende dire. Secondo dati della BCE il valore complessivo delle attività finanziarie internazionali primarie (azioni ed obbligazioni, in breve) è passato dal 50% al 350% del PIL dal 1970 al 2010, arrivando alla cifra spropositata di 280.000 miliardi di dollari. La Banca dei Regolamenti Internazionali, di recente, ha quantificato i derivati in giro per il mondo in 553.000 miliardi di dollari (475 volte il valore di tutto l’oro presente oggi nei forzieri delle banche a livello globale).
Guardando questi dati ed analizzando i primi sintomi di una crisi economica che sta avendo i suoi effetti da almeno un anno e mezzo non c’è proprio da stare allegri. Ma non tutto forse è perduto, come ci ricorda sempre Cimbolini.
Le crisi finanziarie esistono da sempre, anche se non dell’entità di quelle verificatesi nel 1929 e nel 2008. Uno spunto di riflessione interessante sulle possibili soluzioni per porre un freno a questa situazione, che rischia di degenerare per l’ennesima volta, potrebbe essere quella proposta dal governo islandese: far diventare la banca centrale l’unico soggetto a creare moneta, creando una sorta di democratizzazione del sistema e rendendolo appunto più attento alle dinamiche dei singoli cittadini e non solo a quelle dei grandi azionisti delle grandi banche private.
In questo modo la creazione di moneta, come prospettato da due importanti economisti, Ben Dyson e Andrew Jackson con la loro teoria del “positive money”, verrebbe eseguita solo quando l’inflazione fosse bassa e stabile. Il nuovo denaro, così, potrebbe circolare senza essere vincolato ad un debito corrispondente come accade oggi, e potrebbe finanziare il mondo delle imprese.
Chissà, forse qualcuno potrebbe sorridere pensando a questa ricette così elementari e, se vogliamo, anche un po’ retrograde. Ma non sempre il nuovo e l’innovazione sfrenata portano benefici al mondo, come la situazione nel campo ambientale sta ampiamente a dimostrare. Anche perché secondo molte teorie la prossima crisi finanziaria potrebbe anche essere più devastante di quella appena passata e allora sarà sempre più difficile rimettere insieme i cocci.
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