Lavorare più ore di quanto previsto dal contratto di lavoro giustifica il risarcimento danni da parte del datore; questa la decisione della Corte di Cassazione. Qui tutti i dettagli.
Lavorare più ore del contratto giustifica il risarcimento danni: lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, in una recente sentenza. Dunque se il dipendente lavora di più rispetto a quanto indicato nel contratto collettivo, il datore di lavoro è tenuto a risarcire i danni.
Si tratta di un danno non patrimoniale, ma psico-fisico, ed è dovuto ogni volta che il datore di lavoro viola l’articolo 36 della Costituzione recante i principi di determinazione dell’orario di lavoro e della giusta retribuzione.
Tuttavia affinché possa esserci il risarcimento, il carico di lavoro deve essere ”eccessivo”, vale a dire che le ore di lavoro in più devono essere abnormi rispetto al normale contratto. In altre parole non si avrà diritto al risarcimento per qualche ora di lavoro in più.
In questo articolo spiegheremo quando il dipendente ha diritto al risarcimento danni da parte del datore di lavoro e come si calcola il requisito dell’abnormità.
Risarcimento danni per lavoro eccessivo: il caso all’attenzione della Cassazione
La Corte di Cassazione ha sancito il diritto del lavoratore a chiedere il risarcimento danni al datore di lavoro in caso di lavoro eccessivo, ovvero reiterato oltre l’orario stabilito dal contratto.
Per l’esattezza, tale principio viene espresso nell’ordinanza n. 1254 del 10 maggio 2019 (in allegato) in relazione alla questione proposta dal un dipendente addetto al servizio di vigilanza. I giudici della Corte di Cassazione hanno riconosciuto al dipendente il diritto di ottenere il risarcimento per aver lavorato in maniera reiterata per un monte ore superiore a quello stabilito nel contratto collettivo degli Istituti di vigilanza privata, senza recuperi settimanali e senza riceve un adeguamento di retribuzione.
Lavorare più ore del contratto: quando il lavoratore ha diritto al risarcimento?
Quanto stabilito dalla Sezione Lavoro della Corte di Cassazione richiama l’articolo 2087 del Codice Civile (tutela delle condizioni di lavoro), secondo il quale:
“L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Dunque, il datore di lavoro è tenuto ad adottare le misure idonee a tutelare l’integrità fisica e morale dei propri dipendenti, altrimenti risponde a titolo di risarcimento danni.
La Cassazione, infatti, rileva che il superare di gran lunga gli orari stabiliti dal contratto viola anche l’articolo 36 della Costituzione italiana, che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro eseguito e il divieto del superamento della durata massima della giornata lavorativa, che è stabilita dalla legge.
Le cose non cambiano se è il lavoratore stesso a chiedere di effettuare continui straordinari non previsti dal contratto: anche in tal caso, il datore di lavoro non è esonerato dall’obbligo di tutelare l’integrità psico-fisica dei dipendenti e la l’integrità morale dei lavoratori.
Risarcimento danni per lavoro eccessivo: il requisito dell’abnormità
Dunque, come abbiamo visto, lavorare più ore del contratto può determinare il risarcimento danni. Sul tema si era già espressa la Corte di Cassazione nel 2017 (sentenza n. 1185 del 2017) sancendo a quali condizioni il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno non patrimoniale:
- quando il fatto integra una fattispecie di reato;
- quando il risarcimento è previsto anche al di fuori delle ipotesi di reato;
- quando il fatto illecito viola di diritti della persona, in primis il diritto alla salute.
Da questi principi deriva che lavorare oltre l’orario del contratto non sempre giustifica il risarcimento danni; infatti, deve trattarsi di orari di lavoro abnormi, eccessivi e sproporzionati rispetto a quanto stabilito nel contratto collettivo. Spetta al giudice del lavoro, in via discrezionale, valutare se e quando c’è il requisito dell’ “abnormità”, tenendo conto delle caratteristiche e delle specifiche peculiarità della tipologia di lavoro e del grado di stress che provoca sui dipendenti.
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