Alla luce della sentenza della Corte di Cassazione che ha stabilito che il lavoro tra familiari è lecito, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha pubblicato un approfondimento per esaminare questa disciplina.
L’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, pubblicato il 7 maggio, esamina la sentenza 4535/2018 della Corte di Cassazione con la quale è stato stabilito che il lavoro prestato tra familiari è legittimo.
Questo approfondimento riassume i principali indici oggettivi previsti dalla Cassazione per riconoscere un effettivo inserimento organizzativo e gerarchico nella organizzazione aziendale.
Oltre ad elencare però i principali indici oggettivi, stabiliti dalla Suprema Corte per riconoscere quando il lavoro tra familiare può essere considerato lecito, l’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro esamina un altro aspetto importante che riguarda la gratuità della prestazione lavorativa; vediamo quale.
La posizione del Ministero del Lavoro e dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro
L’approfondimento pubblicato dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro fa emergere la posizione dell’Inps in merito al lavoro prestato da familiari.
L’Inps è dell’idea che questo tipo di prestazione lavorativa presuma la gratuità, cosa che però entra in netto contrasto con quanto previsto dal nostro ordinamento che invece prevede l’onerosità della prestazione lavorativa.
Anche il Ministero del Lavoro e l’Ispettorato Nazionale del Lavoro non sono concordi con la posizione assunta dall’Istituto previdenziale sul lavoro prestato da familiari e a confermarlo sono due circolari pubblicate dai sopra elencati enti rispettivamente nel 2013 e nel 2018.
In particolare il Ministero del Lavoro con la circolare n. 10478 del 2013 ha chiarito che possono considerarsi collaborazioni occasionali di tipo gratuito quelle:
- rese dai pensionati, parenti o affini dell’imprenditore;
- svolte dal familiare già impiegato full time presso altro datore di lavoro, considerato il residuale e limitato tempo a disposizione per poter espletare altre attività o compiti con carattere di prevalenza e continuità presso l’azienda del familiare.
Con la lettera circolare n. 50 del 15 marzo 2018 l’Ispettorato Nazionale del Lavoro è intervenuto in materia di collaborazioni rese dai familiari nell’impresa artigiana, agricola o commerciale ai fini dell’assoggettamento al relativo regime previdenziale, definendo le linee guida dell’attività di vigilanza concernenti il mero piano della metodologia operativa.
Nel suddetto documento l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, partendo dal presupposto che l’esame delle attività prestate dai collaboratori familiari non può prescindere da una valutazione caso per caso delle singole fattispecie, ha chiarito che costituisce indice di valutazione di occasionalità della prestazione il fatto che l’attività sia prestata per non più di 90 giorni nell’anno.
Al di fuori di tali fattispecie, dunque, non è possibile legittimamente presumere la gratuità della prestazione lavorativa.
Quando il lavoro familiare è legittimo?
La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro riprendendo quanto stabilito dalla Suprema Corte nella sentenza n. 4535 del 27 febbraio 2018 ha specificato che il rapporto di lavoro tra familiari può essere considerato legittimo quando si verificano determinate condizioni, ovvero quando è possibile dimostrare:
- l’onerosità della prestazione;
- la presenza costante presso il luogo di lavoro previsto dal contratto;
- l’osservanza di un orario (nella fattispecie coincidente con l’apertura al pubblico dell’attività commerciale);
- il “programmatico valersi da parte del titolare della prestazione lavorativa” (del familiare);
- la corresponsione di un compenso a cadenze fisse.
Secondo la Corte di Cassazione dunque la presunzione di gratuità del lavoro familiare può essere superata fornendo la prova dell’esistenza del vincolo di subordinazione della prestazione lavorativa.
Si allega di seguito l’approfondimento della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro del 7 maggio 2018.
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