Le borse stanno crollando e le banche centrali non sembrano più in grado di stimolare la crescita globale. La Fed di Yellen ha fallito?
Mentre le borse crollano, i mercati sono affossati dai timori di una nuova recessione e dalle preoccupazioni per lo stato di salute delle banche centrali. Cosa sta succedendo? Perché le banche centrali hanno perso credibilità?
Tutto sta andando giù: le borse, il petrolio, la fiducia degli investitori, il potere delle banche centrali. Dalla Federal Reserve alla Bce, dalla Banca del Giappone a quella della Cina, l’impotenza e la perdita di credibilità è un dato comune.
Questa settimana potrebbe passare alla storia finanziaria come la settimana in cui ha avuto fine la pianificazione delle banche centrali. “La versione 2016 della caduta del muro di Berlino”, ha dichiarato Steen Jakobsen, capo economista presso Saxo Bank.
Il crollo dei mercati ha richiesto una serie di manovre da parte delle banche centrali per scongiurare la recessione e i pericoli della deflazione.
In seguito alle decisioni relative alla gestione dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali, i mercati finanziari stanno segnalando che gli investitori hanno perso fiducia nella capacità delle banche centrali di sostenere l’economia globale.
Appare sempre più difficile per le banche centrali rendere efficaci gli stimoli monetari messi in campo per rilanciare la crescita. Alcune di esse rimangono pressate anche dal pericolo della deflazione, tant’è che stanno provando a spingere al inflazione e, per quanto si sforzino, non ci riescono.
Anche Janet Yellen, la presidente della Federal Reserve, ha dovuto ammettere di prendere in considerazione che la Fed possa spingere i suoi tassi d’interesse sotto lo zero.
Non è la prima volta che una banca centrale spinge verso il segno meno. È quello che è già successo al Giappone, alla Bce e alle banche nazionali danese, svedese e svizzera.
Perché gli investitori sono disposti a mettere i loro soldi in certe categorie di titoli “sicuri”, sapendo che il rendimento è negativo e che un domani ricaveranno meno di quanto pagano oggi? Perché pensano che i prezzi scenderanno ancora: quindi il valore dei bond “negativi” in realtà può salire; e perché pensano che su qualsiasi altra tipologia di investimenti (come le azioni in Borsa) le perdite sarebbero molto più pesanti.
Quando le cose vanno male, infatti, le banche centrali tendono a ridurre i tassi d’interesse per rendere meno caro il costo del denaro, i prestiti alle imprese, i mutui alle famiglie. Nella speranza che questa liquidità aggiuntiva aiuti l’economia a risollevarsi.
Perché le banche centrali hanno perso potere e credibilità
Al tasso negativo sui depositi delle banche commerciali presso la propria banca centrale è delegato il compito di incentivare la circolazione di moneta e credito, linfa necessaria per la rivitalizzazione dell’economia reale.
Il ritmo di rialzo dei tassi d’interesse che era stato annunciato dalla Federal Reserve si è rivelato quindi in parte inappropriato. Secondo alcuni la Fed non avrebbe interpretato nel modo corretto il momento dell’economia, finendo per aggravare i problemi anziché risolverli.
L’iniziativa della Banca del Giappone di rispondere con tassi negativi all’apprezzamento dello yen ha fatto capire ai mercati che le banche centrali non stavano affatto cooperando e che sarebbe scattata una concorrenza al ribasso dei tassi, con ripercussioni sui bilanci delle banche.
Lo yen si è addirittura rafforzato nell’attesa di rappresaglie da parte delle altre banche centrali.
Da qui i timori che la capacità della politica monetaria di influenzare l’economia reale sia stata compromessa.
Così Janet Yellen ha rinviato le attese di rialzo dei tassi Usa e, quando ieri la Banca di Svezia ha ridotto a -0,5% il tasso di rifinanziamento, si è capito che la competizione tra le autorità monetarie globali è ormai senza regole.
L’impressione è che i mercati non credono più molto alle banche centrali, ridimensionando il ruolo cruciale e imprescindibile di queste ultime nel controllo degli assalti speculatori.
Crollo delle borse, perché la deflazione è un rischio
In questo momento le cause mondiali della deflazione, ossia del calo dei prezzi, sono due. La prima sta in Cina: la crescita è lenta, il Paese consuma meno e importa meno.
La seconda causa è il crollo del prezzo del petrolio, insieme a quello di tante altre materie prime, anzitutto perché la Cina ne compra meno. Queste due concause ne alimentano altre: il crollo delle materie prime, che impoverisce tante nazioni emergenti, che a loro volta comprano meno di una volta.
L’economia mondiale si è ritrovata così allo sbando. Europa e Stati Uniti devono pensare più a sopravvivere che a crescere, mentre l’elenco dei paesi a rischio recessione si allunga: si va dal Venezuela esportatore di petrolio al Brasile, dalla Grecia alla Russia, da Taiwan all’Argentina e all’Ucraina.
Tutto ciò s’inserisce in un quadro di debolezza allargato al panorama mondiale: l’Eurozona non ha mai ritrovato una vera crescita e da molti anni la domanda ristagna.
Nel frattempo, il salario medio cala o perde potere di acquisto e la domanda si riduce. E cosa succede se la domanda si riduce? Le imprese non hanno interesse a crescere e a innovare, non creano nuovi posti di lavoro e la disoccupazione (o l’occupazione saltuaria) cresce favorendo un’ulteriore contrazione della domanda.
Per mantenere inalterato il potere d’acquisto della popolazione media, sarebbe necessario un sostanzioso taglio delle tasse, ritenuto impossibile da tutti i governi. Con ciò si arriva a parlare di austerità, da molti indicata come responsabile di buona parte dei problemi, specie in Europa.
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