Le donne siriane in Turchia e la nuova svolta occupazionale ai tempi del coronavirus

Domenico Letizia

17 Luglio 2020 - 17:19

L’emergenza pandemia ridisegna anche gli scenari delle piccole e medie imprese nonché delle Fondazioni e Case famiglia al confine tra Siria e Turchia.

Le donne siriane in Turchia e la nuova svolta occupazionale ai tempi del coronavirus

Dalla produzione di magliette, t-shirt e canottiere a quelle di mascherine chirurgiche. L’idea e l’azione imprenditoriale proviene dalla Fondazione «Fatih Sultan», ubicata a Kilis, metropoli che negli ultimi anni è stata al centro dell’attenzione mediatica a causa del conflitto siriano.

La «svolta» lavorativa in Turchia grazie al coronavirus

Kilis, città di più di 200.000 abitanti, prende vita lungo la frontiera turca al confine con la Siria.
La Fondazione «Fatih Sultan» che accoglie bambine e donne scappate dalla Siria in guerra, ha avviato la produzione di mascherine chirurgiche pensando al benessere e alla salute della comunità locale, prima ancora dell’esplodere della pandemia generale e una settimana prima rispetto alla diffusione dei primi due casi di coronavirus in Turchia.

Alle macchine tessili della Fondazione lavorano 22 operaie, mamme e vedove, siriane. Nel corso degli ultimi mesi, che hanno visto anche la Turchia e la Siria impegnate nell’affrontare l’emergenza sanitaria, la Fondazione ha avviato un centro di insegnamento della lingua turca per i bambini siriani rifugiati, implementato il lavoro della casa famiglia per i giovani rifugiati ospiti della struttura e avviato un centro di formazione tessile per le donne residenti.

Attualmente, il numero di beneficiari che gira attorno alla struttura, tra lavoratrici e bambini, è di circa 460 persone. Nel 2015 fu aperta la prima sala per il cucito con sei macchine da lavoro e un gruppo di donne ha svolto il primo passo verso la formazione aziendale, ricevendo commissioni in abbigliamento da numerose aziende siriane e turche.

Nel corso degli ultimi anni, il progetto imprenditoriale e di genere ha visto una crescita del numero delle macchine da cucire: ora sono presenti 24 macchinari nella struttura e una capacità d’impresa al femminile molto competitiva.

«Nel corso del mese di marzo e del mese di aprile 2020 abbiamo prodotto quasi ottomila mascherine al giorno. Gli ordini provengono e provenivano dalla capitale turca, Istanbul, e dalla grande metropoli meridionale Gaziantep, grazie alla collaborazione con alcune realtà statali e pubbliche della Turchia, come asili, scuole, università e ospedali», ha recentemente illustrato Abdul Ghani Alshawakh, il direttore responsabile dei progetti della Fondazione, nonché rifugiato siriano in Turchia.

Centro economico e manifatturiero nel sud della Turchia, noto per la lavorazione e coltivazione del pistacchio, la città di Gaziantep dista pochi chilometri dalla capitale siriana Aleppo ed è diventata famosa per una politica multiculturale e di integrazione nei confronti dei rifugiati provenienti dalla confinante Siria, a partire dal 2011.

La politica locale turca ha lavorato molto all’inserimento dei nuovi migranti e rifugiati nei meccanismi industriali locali e nei centri urbani. Vivono nei centri profughi solo il 4% dei circa 3,6 milioni di rifugiati siriani di tutto il Paese. Oltre alla costruzione di nuovi strutture pubbliche, di servizio e agli investimenti per risolvere i problemi di accesso idrico, Gaziantep ha posto l’attenzione all’educazione dei minori.

L’amministrazione ha creato alcune scuole nelle periferie, sia per i bambini poveri turchi che per i bambini siriani, con una didattica in doppia lingua, e l’insegnamento delle materie fondamentali in lingua araba e in lingua turca. Anche in Italia, nel corso degli ultimi anni, ritroviamo alcuni fondazioni, associazioni e organizzazioni che tentando di portare all’attenzione pubblica e mediatica ciò che sta generando il conflitto siriano, richiamando la comunità nazionale e internazionale sulla tragicità della catastrofe umanitaria, soprattutto, in tempi di pandemia sanitaria.

Lodevole e meritevole di attenzione è il lavoro dell’Associazione bolognese “We Are” Odv, che, da alcuni anni, intraprende iniziative e azioni di tutela, assistenza, monitoraggio e denuncia, dando vita a progetti umanitari per i bambini della Siria e per tutta la popolazione siriana presso la città di Kilis. Grazie al lavoro di We Are, la Fondazione «Fatih Sultan Demegi» oggi riesce a sviluppare capacità imprenditoriale e assistenza umanitaria per le donne e i bambini siriani rifugiati, nonostante l’emergere e la diffusione del coronavirus.

Nella città di Kilis, come in tutta la Siria, in questo conflitto che molte organizzazioni definiscono giuridicamente come genocidio, sono i civili e il popolo siriano, soprattutto bambini, bambine e donne, a pagare con la vita un prezzo altissimo. Molti rifugiati guardano alla Turchia come una seconda possibilità, un nuovo futuro e l’emergenza coronavirus, nella sua drammaticità, ha generato anche nuove prospettive occupazionali, facendo crescere la portata imprenditoriale, la preparazione aziendale delle donne della Fondazione e riuscendo a divenire una realtà aziendale importante lungo il confine turco siriano e per le istituzioni pubbliche della capitale turca.

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# Siria

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