La neutralizzazione contributi pensione è una opzione del lavoratore, che serve ad evitare un trattamento pensionistico più basso. Le recenti indicazioni dell’Inps nel messaggio n. 883 di febbraio.
L’Istituto di previdenza ha emesso l’utile messaggio n. 883 lo scorso mercoledì 23 febbraio, in tema di calcolo della pensione e neutralizzazione contributi per disoccupazione. Detto documento ha il rilievo di illustrare quelli che sono gli effetti della sentenza della Consulta n. 82 del 2017, relativa al calcolo della retribuzione pensionabile, nelle circostanze in cui le ultime 260 settimane (5 anni) di contribuzione includano contributi per disoccupazione non necessari a raggiungere i requisiti minimi per la pensione.
Il messaggio n. 883 indica i criteri applicativi della neutralizzazione dei periodi di contribuzione per disoccupazione, laddove detta neutralizzazione comporti un ammontare della pensione più favorevole.
Vero è che la questione dei contributi nocivi è conosciuta ma non notissima ai più. Ecco allora perché il messaggio dell’Inps si rivela così utile: esso consente di ritornare sull’argomento e spiegarlo più nel dettaglio. Come funziona la neutralizzazione contributi per la pensione? e quando realmente conviene richiederla? Scopriamolo di seguito.
Neutralizzazione contributi per la pensione: come funziona e quando conviene
- Neutralizzazione contributi: uno strumento per evitare penalizzazioni
- Neutralizzazione contributi: il lavoratore può domandare l’esclusione dei periodi di contribuzione
- L’opzione neutralizzazione contributi per evitare un assegno pensionistico più basso
- Quali contributi possono essere neutralizzati?
- I trattamenti su cui far valere l’opzione neutralizzazione
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Neutralizzazione contributi: uno strumento per evitare penalizzazioni
L’appena citato messaggio Inps fa riferimento a tutti quei contributi che invece di favorire il futuro pensionato, lo penalizzano - rivelandosi di fatto dannosi se presenti in un montante contributivo. La penalizzazione andrebbe a pesare sulla quantificazione dell’importo del trattamento pensionistico.
Come accennato in apertura, si tratta di una comunicazione dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale, che fa riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale. Quest’ultima indica la facoltà del lavoratore di eludere dal calcolo della propria pensione, una certa contribuzione previdenziale che può appunto arrecare un danno al lavoratore stesso. In altre parole, detta contribuzione può essere di fatto estromessa dal calcolo, per favorire colui che ha accumulato contributi nel corso del tempo.
La sentenza richiamata ha di fatto sancito l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, ottavo comma, della legge n. 297 del 1982.
Il principio su cui si fonda la neutralizzazione contributi è il seguente: più contributi non significano sempre più pensione. Infatti, vero è che tra i contributi di un lavoratore possono certamente esservi alcuni periodi che non giovano all’importo della pensione che si andrebbe ad incassare. Dal punto di vista pratico, possono sussistere cioè contributi figurativi da disoccupazione, con l’effetto di danneggiare il futuro pensionato, invece di aiutarlo.
Nella prassi, peraltro, è piuttosto comune trovare lavoratori che sfruttano la disoccupazione indennizzata Inps come una sorta di reddito ponte allo scopo di essere accompagnati verso il raggiungimento di una certa età pensionabile.
In sintesi, la neutralizzazione contributi conviene in caso di contributi figurativi, che avrebbero l’effetto - se conteggiati - di diminuire l’importo dell’assegno pensionistico.
Neutralizzazione contributi: il lavoratore può domandare l’esclusione dei periodi di contribuzione
Sopra abbiamo accennato al fatto che la sentenza della Consulta del 2017 ha stabilito l’illegittimità costituzionale dell’art. 3 ottavo comma della legge n. 297 del 1982, recante “Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica”.
La Corte Costituzionale ha infatti evidenziato il contrasto della legge con gli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Costituzione, “nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima”.
Si tratta di una disposizione della quale è stata dichiarata la parziale illegittimità, e che disciplina i criteri di individuazione della retribuzione pensionabile per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, attraverso il sistema di calcolo retributivo e, in rapporto alla quota di pensione retributiva, per i trattamenti di pensione liquidati con il sistema di calcolo misto.
L’art. 3, ottavo comma, della suddetta legge indica che la retribuzione annua pensionabile per le pensioni dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti è formata dalla quinta parte della somma delle retribuzioni incassate durante il rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione, anteriori alla decorrenza della pensione.
Ebbene, secondo il ragionamento seguito dalla Corte Costituzionale - e che viene considerato anche nel messaggio Inps n. 883 dello scorso febbraio: “quando il diritto alla pensione sia già sorto in conseguenza dei contributi in precedenza versati, la contribuzione successiva non può compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata, soprattutto quando sia più esigua per fattori indipendenti dalle scelte del lavoratore”. In buona sostanza, la Consulta ammette la possibilità di avvalersi del meccanismo della neutralizzazione o sterilizzazione dei contributi, laddove ciò convenga ad incassare una prestazione pensionistica di importo non ridotto.
L’opzione neutralizzazione contributi per evitare un assegno pensionistico più basso
Lo ribadiamo: come sottolineato dalla Consulta e recentemente rimarcato anche dall’Inps, l’importo della pensione può essere penalizzato a livello di calcolo, se sono considerati anche i contributi figurativi, che vanno di fatto a diminuire la portata dell’assegno pensionistico.
Il sistema del calcolo della prestazione pensionistica conduce a questo potenziale svantaggio per il lavoratore e futuro pensionato. Vero è che, pur essendo nell’era contributiva della pensione, la stragrande maggioranza dei lavoratori che escono di questi tempi dal mondo del lavoro, lo fanno con il sistema misto.
Una porzione della prestazione previdenziale è quantificata con il sistema contributivo e dunque, in rapporto ai contributi versati, mentre un’altra porzione sulla scorta delle retribuzioni accumulate. Da rimarcare che il metodo retributivo è più vantaggioso, in quanto più sono elevate le retribuzioni percepite, maggiore è la pensione versata.
Il punto è il seguente: se negli ultimi anni di carriera interviene la Naspi - la Nuova assicurazione sociale per l’impiego o indennità per disoccupati involontari dell’Inps - la disoccupazione è sempre inferiore rispetto allo stipendio di solito incassato in continuità di impiego. In pratica, meno soldi di retribuzione e dunque un assegno pensionistico di più basso importo.
Ecco perché quanto suggerito dall’Inps nel recente messaggio aiuta a risolvere il problema in oggetto: l’opzione per i lavoratori, delineata dalla Corte Costituzionale, consente di impedire il verificarsi del danno. La neutralizzazione contributi mostra dunque il proprio vantaggio in modo piuttosto evidente.
Quali contributi possono essere neutralizzati?
Tuttavia, occorre tener ben presente che la facoltà di neutralizzazione contributi attiene ai contributi figurativi per i periodi di disoccupazione nelle ultime 260 settimane prima del pensionamento, ovvero gli ultimi 5 anni. Ciò è stato precisato dall’Inps nel citato messaggio.
Per l’Istituto - lo ribadiamo - è possibile ottenere la neutralizzazione contributi della disoccupazione, se vanno a pesare negativamente sul calcolo della pensione. Sia l’Inps che la Consulta con la sua sentenza stabiliscono che questo beneficio è ammissibile solo per i periodi di disoccupazione coperti da contribuzione, relativi ai 5 anni che precedono la data del pensionamento, in quanto non necessari ai fini del conseguimento dell’anzianità contributiva minima.
Inoltre il periodo di contribuzione per disoccupazione dovrà essere escluso totalmente dal ricalcolo del proprio trattamento pensionistico, giacché non è consentito neutralizzare singoli periodi all’interno del periodo massimo di 5 anni. Nel caso nel quale il periodo contributivo di disoccupazione sia necessario esclusivamente in parte a maturare la pensione, il lavoratore potrà escludere dal computo della retribuzione pensionabile le settimane posteriori al raggiungimento del requisito contributivo minimo per il diritto al trattamento pensionistico.
Il beneficio in oggetto si applica alla quota retributiva di una pensione, in quanto sarebbe inutile eliminare i contributi da disoccupazione sulla quota contributiva, che è calcolata sull’ammontare totale dei contributi versati nel montante.
I periodi che possono essere eliminati dal calcolo della pensione si collocano obbligatoriamente prima della data di decorrenza della prestazione pensionistica.
I trattamenti su cui far valere l’opzione neutralizzazione
L’Istituto di previdenza precisa altresì che i periodi di contribuzione per disoccupazione, considerati dalla misura, attengono al versamento dei seguenti trattamenti:
- assicurazione Sociale per l’Impiego (ASpI);
- mini-ASpI;
- nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (NASpI);
- indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti normali;
- indennità di disoccupazione ordinaria con requisiti ridotti;-
- indennità di disoccupazione ai lavoratori rimpatriati;
- indennità di disoccupazione agricola con requisiti normali e con requisiti ridotti.
Le pensioni su cui incide la rideterminazione della retribuzione pensionabile sono le seguenti:
- pensioni di vecchiaia e di anzianità liquidate con il sistema di calcolo retributivo;
- pensioni di vecchiaia e di anzianità liquidate con il sistema di calcolo misto.
Inoltre il messaggio dell’Inps ribadisce che, nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale già citata, non sarà possibile procedere alla neutralizzazione contributi che superano i 5 anni anteriori alla decorrenza del trattamento pensionistico.
Per poter operare con la neutralizzazione contributi dannosi, il diretto interessato deve fare apposita istanza all’Istituto di previdenza.
Concludendo, ricordiamo che Inps - nel messaggio citato - ha reso noto che a breve, con altra comunicazione ufficiale, saranno indicate nel dettaglio le procedure operative, necessarie a sfruttare l’opzione neutralizzazione contributi.
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