Nella Api Banking Economy, come sviluppare servizi che creino valore aggiunto per il business? La questione allo studio di CeTIF.
Pensate a un portale immobiliare che grazie a un servizio finanziario integrato vi consente di accedere all’elenco di case che vi interessano e per cui potete chiedere il mutuo sulla base di uno scoring effettuato dalla banca.
Oppure immaginate una banca che offre forme di investimento alternative nel settore immobiliare, direttamente online e con procedure snelle. Non si tratta di una chimera: in Spagna è già realtà grazie all’accordo tra Evo Bank e la piattaforma di crowdfunding immobiliare Housers. Quando l’utente sceglie una casa la proposta appare direttamente all’interno della piattaforma e l’acquisto può avvenire tramite crowdlending o richiesta di prestito peer to peer. Tutto ciò grazie alle API e a un sistema di Open Banking e Distribution.
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Ora che il dibattito è passato da “banche contro fintech” a una discussione più realistica sulle opportunità di collaborazione tra banche e altre organizzazioni, la nuova domanda è: come cambierà l’attività di creazione ed erogazione di prodotti e servizi bancari ai clienti?
Ne abbiamo parlato con Paolo Gatelli, ricercatore CeTIF, a seguito del meeting API Banking Economy in cui si è discusso dell’offerta di servizi mediante API, della governance delle partnership ed ecosistemi di terze parti, e delle strategie di Open Banking.
I servizi a valore aggiunto nella API Economy
L’Open Banking, che si muove sui binari creati dalle API aperte, smantella la tradizionale posizione dominante delle banche per rendere conto al cliente fruitore del prodotto. Con l’ingresso di nuovi attori anche non bancari nella catena tra cliente e banca, il mercato dei servizi bancari diventerà più frammentato. Ciò significa che nuove relazioni affini alla distribuzione diventeranno cruciali.
L’Open Banking, che possiamo a grandi linee definire come una rete bancaria che promuove la condivisione sicura dei dati attraverso le API, fornirà nuovi flussi di valore aggiunto offrendo ai clienti nuovi punti di contatto digitali (ma non solo) per accedere alle proprie informazioni finanziarie.
La domanda che il tavolo di lavoro del CeTIF si è posta è la seguente: Come sviluppare servizi a valore aggiunto nel panorama della API Banking Economy? “Abbiamo notato che i servizi lanciati di recente da Apple, Amazon, Tim, Auchan ecc. non hanno l’obiettivo di sostituirsi al servizio finanziario e monetizzarlo, ma di creare degli ecosistemi finanziari”, ci spiega Gatelli. “Pensiamo alla nuova Apple Card, che non va a far pagare la commissione sulla carta, ma punta ad agganciare il cliente su preferenze, consigli d’acquisto...”
Stessa linea seguita da Tim, che offre il wallet con i servizi di pagamento per i contenuti multimediali e i servizi che ruotano intorno alla telefonia e alla connettività. “Tutto ci porta a pensare che l’obiettivo di questi cosiddetti competitor dei player tradizionali non sia monetizzare”.
Obiettivo: creare ecosistemi
Non bastano le API aperte: per creare vero valore in nuovi ecosistemi digitali le banche devono creare una solida community di sviluppatori e partner e mettere le fondamenta per la collaborazione e la trasparenza con questi ultimi. Potrebbe esserci un po’ di attrito nel processo di espansione in un modello indiretto di fornitura di servizi ai clienti: storicamente queste istituzioni hanno avuto il controllo con la distribuzione diretta; è quindi utile e necessario che all’interno della banca stessa si prenda coscienza dell’importanza della tecnologia che sostiene l’Open Banking e di quella del nuovo modello di Open Distribution. Che è finalizzato, ci spiega Gatelli, “non solo a raggiungere ambienti diversi e stringere partnership, ma proprio a presentare e vendere i servizi ai potenziali clienti”.
Pensiamo ai modelli aperti delle neobank come N26 o Revolut, dove servizi e contenuti vengono proposti sia in quel preciso ambiente che in contesti d’uso differenti. O al modello di Unipol, che sceglie di essere presente in tutta la vita dell’automobilista, permettendo di pagare carburante, casello e una serie di servizi non assicurativi che però lo diventano nel momento in cui l’utente si trova a fare una scelta assicurativa.
L’esempio di Intesa e Poste Italiane
Un altro esempio è l’accordo tra Intesa Sanpaolo e Poste Italiane per la distribuzione reciproca di specifici prodotti e servizi dei due gruppi con l’obiettivo di ampliare l’offerta disponibile per i loro clienti (mutui e prestiti personali erogati dalla banca e collocati tramite la rete degli uffici postali, pagamento di bollettini postali e ricariche PostePay tramite i canali fisici e digitali di Intesa Sanpaolo, ecc...)
Open Banking non vuol dire per forza mobile, e nel caso di Intesa vuol dire entrare in contatto con le persone.
“Cominciamo a pensare che bisogna rispondere a un bisogno del cliente nato contestualmente all’ambiente che frequenta e che non è il tipico servizio della banca, bensì un servizio a valore aggiunto che si avvale dei vantaggi della PSD2, ma che allo stesso tempo si possono inventare modelli di valore diversi”.
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