Stop alle auto e alle attività produttive, ma lo smog in Italia resta più o meno stabile. Se vi state chiedendo come sia possibile, qui la spiegazione.
È già da qualche settimana che si sta cercando di capire come le misure restrittive imposte dal governo per contrastare l’avanzata del coronavirus stiano influendo sui livelli d’inquinamento e sullo smog.
Chiaramente lo stop forzato a molte attività non indispensabili sta favorendo una qualità dell’aria migliore, tuttavia non sarebbero state principalmente le restrizioni messe in campo a fornire questi risultati.
Una corrispondenza di fattori ma soprattutto delle condizioni meteo favorevoli hanno contribuito a far diminuire le polveri sottili nell’aria.
Nessuna auto per strada ma lo smog non cala
I nuovi livelli d’inquinamento soprattutto del Nord Italia stanno alimentando svariate domande sulla correlazione tra le misure restrittive e lo smog.
In alcune città infatti non si è verificato un calo netto dei particolati nell’aria nonostante per strada non vi sia nessuno e nonostante le attività abbiano abbassato le serrande. Le immagini fornite dall’ESA però da questo punto di vista sono incoraggianti, visto che mostrano una diminuzione nelle emissioni di biossido di azoto.
La situazione smog in Pianura Padana e in Veneto non sembra essere migliorata drasticamente. La lenta diminuzione delle sostanze inquinanti nell’aria non sarebbe dovuta alla sola diffusione del virus. Ciò che sta influendo sono le condizioni meteo che hanno portato la quantità di PM10 sotto i 50 microgrammi per metro cubo nelle ultime ore. La situazione era addirittura più rosea nei giorni scorsi, secondo Arpa Lombardia.
I fattori determinati nella ‘pulizia’ dell’aria infatti sono fondamentalmente pioggia e vento, in assenza di questi i livelli tendono a rimanere stabili. Inoltre, con la chiusura di molte attività, l’utilizzo dei riscaldamenti domestici è andato aumentando, con molta più gente costretta a rimanere a casa.
Secondo Legambiente però non sarebbe l’unica variabile, visto che nonostante sia “plausibile che le utenze domestiche” abbiano fatto “maggior ricorso all’accensione dei riscaldamenti”, a controbilanciare questa tendenza c’è la disconnessione di molte utenze fin dall’inizio dell’emergenza, come ad esempio le scuole.
I dati contrastanti rilevati in alcune zone del Paese sarebbero anche dovuti all’elevatissima concentrazione dell’attività di allevamento, in particolare nella fascia della Bassa Pianura, alla produzione e al “traffico pesante residuo”.
Lo strano caso di Codogno
A conferma di quanto detto finora l’esempio lampante della cittadina di Codogno, in provincia di Lodi, dove è emerso il primo focolaio di coronavirus in Italia. Qui come in molte altre zone della Bassa è diffusissima l’attività zootecnica e la diminuzione di inquinanti non è stata altrettanto importante.
Le stringenti misure restrittive non hanno portato a un miglioramento netto nella qualità dell’aria. Come rivelato da Arpa Lombardia, al 25 febbraio la concentrazione di PM10 si attestava sugli 82 microgrammi per metro cubo. La cifra si è abbassata solamente con l’arrivo della tramontanae del maestrale, portandola sotto i 50 µg.
Per questa settimana sono previsti gli ultimi strascichi invernali, con un netto calo delle temperature nell’ordine dei 10 gradi. La massa d’aria fredda di origine artico-continentale attraverserà la Russia in direzione dell’Europa. Già nella giornata di oggi stiamo assistendo alla presenza di forti venti, che insieme alle nuove restrizioni imposte dal governo alle attività produttive potrebbero finalmente ’ripulire’ l’aria.
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