Il nuovo orientamento della Corte di Cassazione ha cambiato la tassazione del patto di famiglia, rendendo meno oneroso il trattamento fiscale. Ecco cosa cambia e quali sono i vantaggi fiscali.
La tassazione del patto di famiglia ha subito un notevole cambiamento alla luce del recente orientamento della Corte di Cassazione che con l’ordinanza n. 29500, emessa il 24 dicembre 2020, ha modificato il precedente orientamento giurisprudenziale (in particolare tenere a mente la sentenza della Cassazione n. 32823/2018) rendendo meno oneroso il trattamento fiscale del patto di famiglia.
La giurisprudenza inaugura così un nuovo filone in materia di liquidazione della quota in denaro o in natura ricevuta dal legittimario non assegnatario nell’ambito di un patto di famiglia.
Il Patto di Famiglia è il contratto, disciplinato dagli artt. 768- bis e seguenti cod. civ, con cui
- l’imprenditore trasferisce a uno o più discendenti, in tutto o in parte l’azienda;
- il titolare di partecipazioni societarie trasferisce a uno o più discendenti, in tutto o in parte, le proprie quote;
L’obbligazione di provvedere alla liquidazione di tale diritto di credito a favore del legittimario pretermesso e non assegnatario grava sul legittimario assegnatario del patto ed è proprio in questa fase che bisognerà individuare il corretto regime impositivo da riservare al patto di famiglia.
Il precedente orientamento giurisprudenziale sosteneva, infatti, che la liquidazione operata dal legittimario assegnatario fosse soggetta all’imposta di donazione, in quanto da ricondursi ai fini impositivi nell’alveo delle donazioni ai sensi dell’art. 58, comma 1, d.lgs. n. 346 del 1990, e l’aliquota e relativa franchigia applicabile fosse da calcolarsi sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra beneficiario assegnatario e legittimario non assegnatario.
Secondo la recente ordinanza della Cassazione, invece, la liquidazione deve in realtà ricondursi a una donazione posta in essere sempre e comunque dal disponente. Ne discenderebbe, pertanto, l’applicazione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al rapporto di parentela intercorrente tra disponente e beneficiario non assegnatario con un importante alleggerimento in termini di imposta dovuta. Secondo l’ordinanza non rileva, da un punto di vista tributario, che la liquidazione sia operata dal beneficiario del patto e non dal disponente originario, essendo esecuzione di un obbligo legale posto in capo al beneficiario che trova la propria causa nel patto di famiglia. Di fatto, quindi, la liquidazione al legittimario non assegnatario è una donazione da parte del disponente.
Per capire meglio quanto anzidetto prendiamo il caso di specie culminato con l’emissione della suddetta sentenza: il disponente aveva trasferito, mediante patto di famiglia, al figlio (legittimario assegnatario) la partecipazione di controllo di una società e quest’ultimo aveva liquidato alla sorella (legittimaria non assegnataria) la somma corrispondente al valore della quota di legittima. L’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di rettifica e liquidazione relativo al pagamento della somma di denaro erogata dal fratello in favore della sorella, applicando a tale pagamento l’aliquota del 6% prevista per le donazioni tra fratello e sorella, al netto di una franchigia di 100.000 euro.
I contribuenti contestavano, tuttavia, che a tale liquidazione avrebbe dovuto applicarsi l’aliquota e la relativa franchigia sulla base del rapporto di parentela tra disponente e legittimaria non assegnataria (padre – figlia), corrispondete a una minor aliquota del 4% con maggiore franchigia di 1.000.000 euro. La Commissione Tributaria Provinciale aveva dato ragione ai contribuenti i quali, risultati perdenti in grado di appello, proponevano apposito ricorso per Cassazione.
In particolare, la Corte di Cassazione ha evidenziato come il patto di famiglia consente, di fatto, all’imprenditore, ancora in vita, di disporre della successione della propria impresa, assegnando quest’ultima a uno o più discendenti che lo stesso ritenga muniti di competenze e capacità tali da assicurare la continuità aziendale.
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L’imprenditore, cioè, può operare una sorta di successione anticipata nell’impresa, con l’accordo di tutti coloro che, in caso di apertura della successione, al momento della stipula del patto, assumerebbero la qualità di legittimari, in modo tale da regolare per tempo il passaggio generazionale nella gestione dell’impresa. In questo modo eviterebbe che, al momento della sua morte, l’azienda o le partecipazioni al capitale della società cadano nella comunione ereditaria (con il rischio di frazionamento in conseguenza della divisione).
Sulla scorta di quanto sopra, la Corte spiega - e conclude - che nonostante all’atto della stipula del patto di famiglia sorga un diritto di credito dei futuri legittimari, cui corrisponde, specularmente, l’obbligo del discendente beneficiario di provvedervi, tale liquidazione deve in realtà ricondursi, ai soli fini impositivi, ai sensi dell’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 346 del 1990, anch’essa a una donazione, posta in essere, tuttavia, non già dal beneficiario assegnatario in favore del legittimario non assegnatario, bensì sempre e comunque dal disponente.
Circostanza, quest’ultima, che impone l’applicazione dell’aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela, ovvero, nella fattispecie, quelle corrispondenti al rapporto padre-figlia, e non, invece, al rapporto fratello-sorella. E quindi, nella liquidazione effettuata dal legittimario assegnatario del patto di famiglia a favore del legittimario non assegnatario, non si paga alcuna imposta fino a 1 milione di euro. Il valore che eccede tale limite, invece, sconta un’imposta del 4%. Così, su una liquidazione/donazione di 1.500.000 euro si versa il 4% di 500.000 euro.
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