Frontiere chiuse e crisi di liquidità: ecco perché per molti afghani la stabilità finanziaria passa per il Bitcoin e le altre divise digitali.
Una crisi umanitaria, certo. E ne sono una prova le difficili evacuazioni dall’aeroporto di Kabul coordinate dagli Stati Uniti (da completare entro il 31 agosto, hanno intimato i Talebani) e l’ondata migratoria che si prepara a fronteggiare la generale diffidenza dei Paesi confinanti e di diversi Stati europei, vedi la Grecia. Ma una delle principali implicazioni della presa di potere degli studenti coranici in Afghanistan è la ormai sempre più probabile crisi di liquidità, che potrebbe mettere finanziariamente alle strette milioni di correntisti. Ma un’ancora, per alcuni, c’è: il Bitcoin.
Perché gli afghani puntano sul Bitcoin per proteggersi dalla presa di potere dei Talebani
Gli organismi internazionali hanno chiuso i rubinetti, e così gli aiuti finanziari (che rappresentato il 43% del PIL del Paese, già particolarmente contenuto, circa 20 miliardi di dollari) cesseranno di affluire nelle casse statali. Inoltre, le riserve monetarie della banca centrale, circa 9 miliardi detenuti all’estero, sono state congelate, in conformità con il piano del blocco di forze occidentali di prosciugare le risorse a cui i Talebani intendono attingere per governare il Paese. Dei canali per finanziarsi, tuttavia, rimangono: il commercio d’oppio, lo sfruttamento delle risorse minerarie e gli aiuti che arriveranno probabilmente da alcuni Stati, come Cina e Russia.
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In ogni caso, con buona parte dei capitali bancari congelati all’estero la crisi di liquidità è ormai uno scenario concreto per gli afghani. E alcune avvisaglie sono arrivate già nell’ultimo fine settimana: centinaia di cittadini si sono recati presso i bancomat per ritirare quanto più denaro possibile. Il rischio, secondo gli osservatori internazionali, è infatti che le banche si ritrovino nell’impossibilità di restituire ai correntisti la liquidità parcheggiata.
Il Bitcoin, in questo contesto di crisi finanziaria, potrebbe giocare un ruolo inedito. Non più uno strumento speculativo, non più un investimento per diversificare il proprio portafoglio, ma piuttosto uno scudo contro la svalutazione della valuta locale e l’impennata dell’inflazione nel Paese (l’economia afghana è tuttavia basata sul denaro contante, per cui le riserve in Bitcoin non possono essere utilizzate per acquistare, ad esempio, beni di prima necessità). Rimane il fatto che, secondo quanto rilevato dal Global Crypto Adoption Index, l’Afghanistan negli ultimi tre giorni si è piazzato al ventesimo posto su 156 Paesi per tasso di adozione di criptovalute, e che le risorse digitali conservate nei wallet potranno essere utilizzate per foraggiare i profughi fuggiti all’estero, e ad assicurare comunque una sorta di scudo dalle congiunture economiche avverse.
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