Polizze vita, novità dalla Cassazione: senza garanzia sul capitale sono un vero investimento

Marco Ciotola

07/05/2018

Stretta della Corte di Cassazione sulle polizze vita: sono da considerarsi tali solo se garantiscono la restituzione del capitale investito, altrimenti sono ordinari contratti di investimento.

Polizze vita, novità dalla Cassazione: senza garanzia sul capitale sono un vero investimento

Senza garanzia di restituzione del capitale, le polizze vita sono contratti di investimento ordinari.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, tramite la sentenza 10333/2018, ha confermato un suo precedente intervento del 2012, chiarendo che la polizza assicurativa va identificata come quella in cui il rischio dell’assicurato è assunto dall’assicuratore, mentre tutte le altre formule che prevedono un rischio sono da considerarsi come investimenti.

Una decisione che va quindi a tutela i consumatori, perché il rischio non ricade più sull’assicurato ma sull’assicuratore. Con la sentenza, la Cassazione ha anche precisato che in un contratto assicurativo sottoscritto da due persone fisiche attraverso una società fiduciaria va individuato come investitore non la società, ma l’assicurato.
Di conseguenza, gli adempimenti degli obblighi da parte dell’intermediario finanziario devono essere valutati nei confronti del fiduciante e non della società fiduciaria.

Questo implica inoltre importanti differenze dal punto di vista delle comunicazioni, visto che l’intermediario è sempre obbligato a fornire - tramite la fiduciaria - informazioni adeguate sulle operazioni, che ne chiariscano modalità, implicazioni e rischi; in mancanza di un’adeguata informativa al cliente si procede alla risoluzione del contratto con l’assicurazione, la restituzione del capitale e il risarcimento danni.

Sul provvedimento è intervenuto il presidente dell’IVASS (Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni) Salvatore Rossi, il quale ha sottolineato l’adeguatezza del provvedimento spiegando che si tratta di polizze “molto finanziarie e poco assicurative”.

Novità su polizze vita, le conseguenze fiscali

La riclassificazione di una polizza sulla vita in un contratto d’investimento - e quindi in un prodotto finanziario - comporta inevitabili conseguenze fiscali. La prima è che - come già precisato in passato dall’Unione Europea - un investimento sta a significare che l’assicurato si accolla il rischio finanziario derivante dall’oscillazione delle quote, mentre il rischio assicurativo resta a carico dell’assicuratore.

A livello tributario, va specificato che il risultato di gestione di un fondo comune viene tassato annualmente sulle plusvalenze realizzate, mentre il versamento sull’imposta di una polizza unit linked viene effettuata solo a fine contratto. Questo meccanismo - definito tax deferral, che comporta una diversa tassazione al momento del riscatto totale o parziale della polizza - dà allo stesso titolare della polizza il vantaggio di poter continuare a reinvestire anche la parte d’imposta annuale.

Le polizze, al momento, non possono essere sottoposte ad azioni esecutive o cautelari; ma, venuta meno la loro natura previdenziale, potrebbero essere soggette a pignoramento, sequestri preventivi e conservativi.

Un ulteriore aspetto, infine, sembrerebbe arrivare dal fronte successioni, considerando che un investimento perderebbe ogni vantaggio ereditario associato all’assicurazione; in qualità di contratto a favore di un terzo, infatti, verrebbero inevitabilmente meno i frutti di una successione legittima o testamentaria.

I numeri relativi alle polizze vita

Il provvedimento va a inserirsi in un settore che fa registrare numeri notevoli: gli italiani pagano oltre 100 miliardi di euro l’anno in premi per assicurazioni sulla vita, solo 30 miliari vengono invece spesi sul ramo «danni».

Secondo l’Istituto Studi Sul Consumo la sentenza coinvolgerà un numero di polizze che corrisponde a un terzo dell’intero numero di polizze vita in italia.

A titolo d’esempio, lo scorso anno la nuova produzione vita aveva raggiunto 7,8 miliardi, di cui 5 rappresentavano polizze tradizionali mentre 2,7 miliardi erano di ramo III; una cifra che corrisponde al 35% del giro d’affari del segmento.

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