Riforma class action è legge: cosa cambia

Isabella Policarpio

5 Aprile 2019 - 08:39

La riforma della class action è legge. Cosa cambia.

 Riforma class action è legge: cosa cambia

La riforma della class action è legge. Il Senato ha approvato definitivamente la nuova class action con 206 voti a favore, un contrario e 4 astenuti. Ora lo strumento della class action passa dal Codice del consumo al Codice Civile.

La nuova class action risulta più estesa e potenziata rispetto alla disciplina vigente. A cambiare non solo la collocazione dell’istituto (dal Codice del consumo al Codice Civile) ma anche i soggetti che vi possono accedere e le circostanze da far valere in giudizio.

La riforma dovrebbe diventare operativa dopo 12 mesi dall’approvazione della legge; fino ad allora si continuerà ad applicare la disciplina del Codice del consumo per gli illeciti commessi anteriormente.

Class action: dal Codice del consumo al Codice Civile

Il testo della riforma della class action è già stato approvato dalle Camere ed è legge. La modifica più rilevante alla precedente disciplina è lo spostamento della stessa dal Codice del consumo a quello Civile, cosa che estende la portata applicativa dell’istituto.

Infatti, la nuova class action è rivolta a tutti coloro che avanzano delle pretese risarcitorie, e non solamente ai consumatori e agli utenti. Sono legittimate anche le organizzazioni e le associazioni iscritte nell’apposito elenco pubblico istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico.

I destinatari della nuova class action saranno le imprese, gli enti, i gestori di servizi pubblici/di pubblica utilità che compiono atti e comportamenti illeciti nello svolgimento delle loro attività.

Come si procede

Il testo attribuisce al Tribunale delle imprese la competenza a decidere in materia di class action. Si tratta di una sezione specializzata che è competente nella zona in cui il convenuto (cioè l’impresa sotto accusa) ha la sede principale.

La sentenza emessa sarà pubblicata, a cura del Ministero dello Giustizia, sull’area pubblica del portale dei servizi telematici.

Le fasi procedimentali della novella class action sono tre:

  • la decisione riguardo l’ammissibilità dell’azione;
  • la decisione nel merito;
  • la liquidazione delle somme.

Il procedimento di adesione

Per aderire alla class action, il giudice stabilisce un termine perentorio volta per volta. Tale termine, tuttavia, non può mai essere inferiore a 40 giorni e superiore a 150 giorni. La domanda va presentata mediante inserimento nel fascicolo informatico, disponibile sul sito del Ministero della Giustizia.

L’adesione alla class action è consentita sia dopo la pubblicazione dell’ordinanza con cui si ammette l’azione di classe, ma anche dopo la pronuncia della sentenza da parte del giudice. In pratica spetta al Tribunale stabilire un termine per l’adesione ed accogliere o meno le azioni.

Confindustria ha criticato fortemente la decisione di introdurre una doppia fase di adesione, in quanto la previsione potrebbe aumentare le adesioni a scopo opportunistico da parti di colore che, prima di aderire, vogliono verificare se l’azione avrà esito positivo. Chi aderisce non assume la qualità di parte in giudizio ma ha comunque diritto a ricevere informazioni e comunicazioni da parte della cancelleria.

L’azione inibitoria

Con la riforma non solo viene potenziata la class action ma si introduce un’azione inibitoria collettiva nei confronti di imprese, enti e gestori di servizi pubblici.

Dunque, chiunque ne abbia interesse può chiedere la cessazione del comportamento lesivo oppure il divieto di reiterare la condotta lesiva. La domanda di azione inibitoria dovrà essere presentata al Tribunale delle imprese con procedimento camerale.

Se il giudice ritiene la domanda fondata condanna l’impresa a cessare la condotta attiva o omissiva ed ordinare l’eliminazione o la riduzione degli effetti delle violazioni.

Se class action e azione inibitoria vengono presentate congiuntamente il giudice deve disporre la separazione delle cause.

La c.d “quota lite”

Uno dei punti che preoccupa maggiormente le imprese è la c.d. “quota lite”. In pratica si tratta di un compenso ulteriore per coloro che rappresentano la classe ed anche ai difensore. Si tratta di un contributo aggiuntivo rispetto alla somma che il convenuto è tenuto a pagare a titolo di risarcimento a coloro che hanno partecipato all’azione di classe.

La quota lite viene determinata secondo un metodo a scaglioni che può essere corretto dal giudice quando ricorrono specifiche circostanze che tengono conto della complessità dell’incarico, della qualità dell’opera, del numero di aderenti, ed ogni altra situazione che il giudice ritiene rilevante.

La preoccupazione delle imprese è che la quota lite, assimilabile ad un compenso premiale, potrebbe aumentare sensibilmente il numero delle azioni di classe, moltiplicando gli episodi di contenzioso.

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