Rischio zero sicurezza sul lavoro: cosa significa?

Claudio Garau

30 Marzo 2022 - 19:43

Nell’ambito della sicurezza sul lavoro, il cd. rischio zero si scontra con la realtà e con l’impossibilità di attuarlo, in moltissimi casi. Ecco perché appare opportuno parlare di rischio residuo.

Rischio zero sicurezza sul lavoro: cosa significa?

La sicurezza sul lavoro è un tema assai rilevante, specialmente in alcuni contesti in cui i pericoli giornalieri non mancano. Pensiamo ad es. all’ambito dell’edilizia e a quello industriale in generale: non di rado sono pubblicate notizie di cronaca, relative ad incidenti anche molto gravi, se non letali.

Vero è che l’entrata in vigore del Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro, ossia il d. lgs. n.81 del 2008, costituisce la predisposizione di un baluardo contro tutti quegli eventi che possono minare la salute del lavoratore, tanto che oggi si può affermare che nel nostro paese è vigente una legislazione sostanzialmente completa e moderna in tema di prevenzione degli infortuni e incidenti. Chiaro tuttavia che c’è ancora molto da fare, soprattutto per migliorare la sensibilità e la consapevolezza verso le criticità correlate alla sicurezza sul lavoro.

In particolare, è legittimo chiedersi se ha senso parlare di ’rischio zero’ sul luogo di lavoro, oppure se è più ragionevole sostenere la corretta gestione del ’rischio residuo’, vale a dire il margine di rischio sussistente dopo la messa in campo di tutte le misure e le modalità organizzative mirate a contrastare il pericolo di infortuni. Si tratta degli argomenti su cui intendiamo focalizzarci nel corso di questo articolo, ben consci che siamo innanzi a temi che interessano la collettività dei lavoratori e il loro diritto all’integrità psicofisica.

Il rischio zero: in che cosa consiste? La rilevanza del rischio residuo

Il rischio zero è rappresentato dall’assenza totale di pericoli, o dal loro azzeramento, durante un’attività di lavoro in azienda. In particolare il datore di lavoro, ai sensi del Testo unico sulla sicurezza, è tenuto a valutare tutti i rischi sul luogo di lavoro. Egli deve dunque fare in modo che ciascun fattore di rischio possa essere annullato o, se non è possibile, ridotto al minimo.

Chiaro che nella stragrande maggioranza delle situazioni pratiche, il rischio zero è un obiettivo irrealizzabile. Appare allora molto più opportuno parlare di rischio residuo e di riduzione del pericolo in azienda, in rapporto ad ogni attrezzatura di lavoro e a ciascuna mansione svolta. Per farlo ci si potrà appoggiare a norme tecniche o a linee guida ad hoc.

Ebbene - come appena accennato - nell’analisi delle situazioni di pericolo emergerà molto spesso l’impossibilità di azzerare un certo fattore di rischio, in quanto tecnicamente impossibile. Tuttavia è possibile ridurlo, a seguito dell’adozione di varie misure di sicurezza, prevenzione e protezione, che hanno rilievo nella fase di valutazione dei rischi.

Insomma, molto spesso si dibatte sull’esistenza del rischio zero, ma di fatto il principio è che il rischio zero non vale nella generalità delle situazioni pratiche, o piuttosto si tratta di un concetto prettamente teorico. Nella realtà delle attività lavorative, detto postulato costituisce anzi il punto cardine del principio dell’accettabilità del suddetto rischio residuo, che è ciò che effettivamente merita considerazione.

Ricapitolando, se il rischio zero non è quasi mai ottenibile, tuttavia si può agire per ridurlo il più possibile, con:

  • la predisposizione di un accurato DVR;
  • l’intensificazione delle ispezioni, sia quelle dell’Ispettorato del lavoro che quelle dell’Ats;
  • la diffusione della cultura della sicurezza.

Ciò appare ancor più rilevante, se consideriamo che la diffusione degli infortuni è trasversale alla tipologia di azienda.

Il rischio zero e l’utilità del DVR

Se parliamo di rischio zero e di rischio residuo, non possiamo non fare riferimento al DVR, ossia il documento di valutazione dei rischi, essenziale per individuare i fattori di rischio e le misure da predisporre per la sicurezza in azienda.

In altre parole, detto documento è il prospetto che racchiude rischi e misure di prevenzione per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, ed è obbligatorio per tutte le aziende con almeno un dipendente.

Il riferimento normativo per la prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro è ovviamente il citato Testo unico sulla sicurezza sul lavoro, che stabilisce anche gravose sanzioni per chi non rispetta quest’obbligo. La responsabilità della redazione del documento in oggetto è del datore di lavoro.

Il DVR consente di individuare i possibili rischi presenti in un luogo di lavoro e mira ad analizzare, valutare e cercare di prevenire le situazioni di rischio per i lavoratori. Infatti, dopo la fase di valutazione dei rischi, è messo in atto un dettagliato piano di prevenzione e tutela con la finalità di eliminare, o quantomeno ridurre, le probabilità di situazioni di pericolo.

Sicurezza sul lavoro e rischio zero: per la Cassazione nessun obbligo di garantirlo da parte del datore di lavoro

La stessa giurisprudenza della Cassazione aiuta a fare chiarezza su questi temi, con la sentenza n. 4970 del 2017. In essa la Suprema Corte si è pronunciata circa il quadro degli obblighi di sicurezza gravanti sul datore di lavoro e sulla distribuzione dell’onere probatorio nella causa di risarcimento danni, attivata dal lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro. Vediamo allora perché le considerazioni di questo giudice sono significative.

Ebbene, l’art. 2087 del Codice Civile dispone che il datore di lavoro è obbligato ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, in base alla particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a proteggere l’integrità fisica e la personalità morale dei propri prestatori di lavoro.

In particolare in ipotesi di infortunio, il datore di lavoro deve rispondere dei danni subiti dal proprio lavoratore subordinato, soltanto nelle circostanze in cui abbia violato e/o omesso delle misure di sicurezza:

  • previste dalla legge (c.d. misure di sicurezza nominate);
  • individuate dalle conoscenze sperimentali e tecniche del momento (cd. misure di sicurezza innominate).

Da precisare che, quanto al datore di lavoro, in ipotesi di misure di sicurezza “nominate”, la prova liberatoria è ottenuta con la dimostrazione di avere rispettato le prescrizioni di legge. Mentre nelle circostanze delle misure di sicurezza “innominate”, il datore è obbligato a provare di avere scelto i comportamenti specifici suggeriti dalle conoscenze sperimentali e tecniche, dagli “standards” di sicurezza di solito rispettati nel comparto e/o individuati da altre fonti analoghe.

Soprattutto, la Cassazione ha rimarcato che, in linea generale, sussistono lavorazioni connotate da una intrinseca pericolosità. Quest’ultima non può essere in ogni caso eliminata, pur usando tutte le misure necessarie a prevenire il rischio di infortuni. Nella citata sentenza è dunque affermato che, in dette circostanze, “non può accollarsi al datore di lavoro l’obbligo di garantire un ambiente a “rischio zero”, egualmente non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili”. Infatti, se così non fosse, andrebbe a delinearsi una responsabilità oggettiva - non prevista dall’ordinamento e dall’art. 2087 Codice Civile - a carico del datore di lavoro, che pur ha adottato un comportamento diligente.

Pertanto, nella sicurezza sul lavoro la diligenza richiesta è soltanto quella esigibile per essere l’infortunio connesso:

  • a un comportamento colpevole del datore di lavoro;
  • alla violazione di un obbligo di sicurezza;
  • alla mancata predisposizione di misure idonee a prevenire eventi di danno per i propri lavoratori.

Sono invece inesigibili le misure e cautele diverse da quelle prescritte, laddove di per sé il pericolo di una certa operazione non sia eliminabile e non sia possibile l’adozione di accorgimenti, per contrastare eventi di infortunio del tutto imprevedibili.

Infine, ricordiamo che sempre la Cassazione ha rimarcato che il lavoratore che fa causa per il risarcimento del danno dopo un infortunio patito sul luogo di lavoro è comunque obbligato a dimostrare sia l’inadempimento del datore, sia il nesso causale tra inadempimento e danno subito. La Suprema Corte ha in particolare precisato che spetta al lavoratore allegare l’omissione imputabile al datore, nel predisporre le misure di sicurezza - collegate alla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica - e doverose onde impedire il verificarsi del danno alla salute.

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